Non è sceso dalla croce perché essa è il trono del Re dell’universo, che si è incarnato in un’umanità bisognosa dell’amore più straordinario per «dare testimonianza della verità» (Gv 18,37). La verità di un Dio che non dimentica gli uomini, ma ha voluto prendere su di sé il peccato del mondo per compiere il progetto di salvezza voluto dal Padre, per riunire i figli di Dio dispersi dal peccato: attraverso il sangue dell’Agnello Pasquale Dio riconcilia a sé l’umanità, ed essa può entrare in comunione con Dio (cfr. Eb 4,16). Con la morte di Cristo lo Spirito è riconsegnato al Padre perché lo effonda sugli uomini, come sorgente di vita nuova.
La prima lettura ci presenta il Cristo crocifisso come il Servo sofferente del Signore. Le sue sofferenze divengono causa di salvezza per tutto il popolo, e gli meritano la sua personale glorificazione. Il suo volto era sfigurato dal dolore: per questo Gesù non sembrava nemmeno più un uomo. Egli, attraverso il patimento di una sofferenza inaudita, si è fatto prossimo ad ogni uomo. Non c’è sofferenza che Egli non abbia provato e conosciuto. E proprio a causa della sua sofferenza, noi siamo guariti: le Sue piaghe e le Sue lividure ci hanno riscattato dall’afflizione del peccato.
La seconda lettura presenta alla nostra riflessione il Cristo crocifisso come Sommo Sacerdote. Com’è diversa questa immagine di Gesù che ci dà la Lettera agli Ebrei, rispetto a quelle che siamo abituati a vedere! Egli visse una passione che dura tutta la vita: una sofferenza fatta di lacrime, di forti grida che Gesù elevò al Padre perché potesse esser liberato da una morte terribile, e soprattutto da una sofferenza interiore incommensurabile. In modo misterioso lo stesso Verbo Incarnato è stato afflitto dal tormento dell’abbandono, in cui l’anima non ha consolazione, e questo tormento è stato tale che colui, del quale gli Evangelisti non hanno registrato una sola espressione di dolore, ha emesso quel grido lancinante: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (cfr. Mt 27,46; Mc 15,34). Un abbandono terribile a cui ha fatto seguito la morte e il turbamento di tutta la natura. La desolazione ha investito la terra. Tutto questo per redimere l’uomo, per annullare il peccato, per aprire le porte del cielo. Il vertice della sofferenza è stato il vertice della vittoria: la morte era sconfitta e la terra, purificata, diviene come un campo rigenerato perché vi si possa edificare la Chiesa. Attraverso questa sofferenza Gesù è divenuto il perfetto obbediente e, per questo, è causa di salvezza per tutti quelli che credono.
Il gesto dell’Adorazione della Croce diventa significativa risposta al dono immeritato, e attuazione della parola profetica: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto!” (Gv 19,37). Giovanni, commentando la crocifissione e la morte di Gesù, fa riferimento a due profezie tratte dall’Antico Testamento (“Non ne rompete alcun osso” Es 12,46; Nm 9,12; “Riguarderanno a me, che avranno trafitto” Zc 12,10). Gesù dopo essere stato tradito, arrestato, maltrattato, condannato, viene ora contemplato sulla croce in atteggiamento di affidamento totale al Padre, nella piena libertà del suo dono. Volgere lo sguardo: è l’invito evangelico a uno sguardo non esteriore, ma per la comprensione profonda dell’evento che si è compiuto. Solo chi ha il cuore aperto può comprendere il grande gesto di perdono universale che Dio ha concesso al mondo per mezzo del Figlio.
Questo Amore non ha limiti: è per tutti! Il Signore dal Suo costato trafitto ha manifestato ad ogni uomo, di ogni tempo, il Suo Amore e la Sua predilezione senza riserve.
Simone Maria Politi - IV anno
Arcidiocesi di Lecce
simone.maria.politi@gmail.com
Is 52,13- 53,12
Sal 30
Eb 4,14-16; 5,7-9
Gv 18,1- 19,42
La croce è al centro dell’azione liturgica di questo giorno: al di sopra di essa è scritta la causa della condanna: Gesù Nazareno Re dei Giudei (Gv 19,19). Tutti i passanti, vedendolo, Lo ingiuriavano e si burlavano di Lui: «Se è il re di Israele, scenda ora dalla Croce» (Mt 27,42).
Tanta sofferenza non era necessaria, Egli avrebbe potuto evitare quelle amarezze, quelle umiliazioni, quei maltrattamenti, quel giudizio iniquo, e la vergogna del patibolo, dei chiodi, il colpo di lancia... ma ha voluto affrontare tutto questo. È stato l’Amore a portare Gesù sul Calvario: si è fatto crocifiggere per rivelarci l’Amore assolutamente gratuito del Padre che si dona all’uomo col perdono che salva. La sua invocazione «Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34) ci sconvolge, ma ci fa comprendere la volontà Sua e del Padre; l’Amore di Dio conosce e perdona le nostre infedeltà.
Il Venerdì Santo non dovrebbe, perciò, mai finire di stupirci, di indurre al pentimento perché, come ci ricorda Isaia, Gesù “è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità” (53,5). Proprio grazie alle sue piaghe siamo stati guariti, è morto per noi e per i nostri peccati, e la Sua morte, accettata per amore, ci apre le porte alla vita ed è la sorgente di ogni grazia. La croce diventa il centro focale per tutte le generazioni, è il simbolo dell’Amore di Dio e della risposta dell’uomo. Essa, infatti, viene narrata dalla Parola, posta in evidenza e celebrata nel rito dell’Adorazione ed esaltazione del Legno.
Il senso autentico del Venerdì Santo è effettivamente questo! Non è un giorno di lutto e di penitenza; le parole cedono il posto al silenzio ed alla contemplazione della “Beata e gloriosa Passione del Signore”. Celebrando la crocifissione di Gesù, la Chiesa proclama la vittoria sul peccato e sulla morte, e commemora il giorno della propria nascita. Nella carne dell’Agnello immolato «tutto è compiuto» (Gv 19,30), poiché Gesù ci ha amato fino a dare la vita per noi. Non è fuggito, non ha ascoltato gli inviti a salvare sé stesso ed essere risparmiato da una violenza così crudele.
Non è sceso dalla croce perché essa è il trono del Re dell’universo, che si è incarnato in un’umanità bisognosa dell’amore più straordinario per «dare testimonianza della verità» (Gv 18,37). La verità di un Dio che non dimentica gli uomini, ma ha voluto prendere su di sé il peccato del mondo per compiere il progetto di salvezza voluto dal Padre, per riunire i figli di Dio dispersi dal peccato: attraverso il sangue dell’Agnello Pasquale Dio riconcilia a sé l’umanità, ed essa può entrare in comunione con Dio (cfr. Eb 4,16). Con la morte di Cristo lo Spirito è riconsegnato al Padre perché lo effonda sugli uomini, come sorgente di vita nuova.
La prima lettura ci presenta il Cristo crocifisso come il Servo sofferente del Signore. Le sue sofferenze divengono causa di salvezza per tutto il popolo, e gli meritano la sua personale glorificazione. Il suo volto era sfigurato dal dolore: per questo Gesù non sembrava nemmeno più un uomo. Egli, attraverso il patimento di una sofferenza inaudita, si è fatto prossimo ad ogni uomo. Non c’è sofferenza che Egli non abbia provato e conosciuto. E proprio a causa della sua sofferenza, noi siamo guariti: le Sue piaghe e le Sue lividure ci hanno riscattato dall’afflizione del peccato.
La seconda lettura presenta alla nostra riflessione il Cristo crocifisso come Sommo Sacerdote. Com’è diversa questa immagine di Gesù che ci dà la Lettera agli Ebrei, rispetto a quelle che siamo abituati a vedere! Egli visse una passione che dura tutta la vita: una sofferenza fatta di lacrime, di forti grida che Gesù elevò al Padre perché potesse esser liberato da una morte terribile, e soprattutto da una sofferenza interiore incommensurabile. In modo misterioso lo stesso Verbo Incarnato è stato afflitto dal tormento dell’abbandono, in cui l’anima non ha consolazione, e questo tormento è stato tale che colui, del quale gli Evangelisti non hanno registrato una sola espressione di dolore, ha emesso quel grido lancinante: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (cfr. Mt 27,46; Mc 15,34). Un abbandono terribile a cui ha fatto seguito la morte e il turbamento di tutta la natura. La desolazione ha investito la terra. Tutto questo per redimere l’uomo, per annullare il peccato, per aprire le porte del cielo. Il vertice della sofferenza è stato il vertice della vittoria: la morte era sconfitta e la terra, purificata, diviene come un campo rigenerato perché vi si possa edificare la Chiesa. Attraverso questa sofferenza Gesù è divenuto il perfetto obbediente e, per questo, è causa di salvezza per tutti quelli che credono.
Il gesto dell’Adorazione della Croce diventa significativa risposta al dono immeritato, e attuazione della parola profetica: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto!” (Gv 19,37). Giovanni, commentando la crocifissione e la morte di Gesù, fa riferimento a due profezie tratte dall’Antico Testamento (“Non ne rompete alcun osso” Es 12,46; Nm 9,12; “Riguarderanno a me, che avranno trafitto” Zc 12,10). Gesù dopo essere stato tradito, arrestato, maltrattato, condannato, viene ora contemplato sulla croce in atteggiamento di affidamento totale al Padre, nella piena libertà del suo dono. Volgere lo sguardo: è l’invito evangelico a uno sguardo non esteriore, ma per la comprensione profonda dell’evento che si è compiuto. Solo chi ha il cuore aperto può comprendere il grande gesto di perdono universale che Dio ha concesso al mondo per mezzo del Figlio.
Questo Amore non ha limiti: è per tutti! Il Signore dal Suo costato trafitto ha manifestato ad ogni uomo, di ogni tempo, il Suo Amore e la Sua predilezione senza riserve.
Simone Maria Politi - IV anno
Arcidiocesi di Lecce
simone.maria.politi@gmail.com
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