Cenni storici

Il Pontificio Seminario Regionale Pugliese fu fondato dal Sommo Pontefice San Pio X. Diede ufficialmente inizio alla sua attività l’11 novembre 1908 a Lecce presso l’Istituto “Argento” sotto la direzione dei padri gesuiti, mentre accoglieva i chierici dell’intera regione ecclesiastica per la frequenza dei soli corsi teologici. Il 20 maggio 1911 lo stesso papa concesse al collegio dei professori la facoltà di conferire i gradi accademici.

Scoppiata la prima guerra mondiale, l’Istituto “Argento” fu requisito come ospedale militare e il Seminario Regionale nel novembre 1915 si trasferì a Molfetta nei locali del seminario vescovile. Nel frattempo il Santo Padre Benedetto XV affidò al clero secolare la direzione dell’Istituto nel quale furono istituiti i corsi liceali. Requisito poi anche il seminario vescovile, il Regionale fu trasferito temporaneamente nella vicina città di Terlizzi per il periodo 1917-1918. Cessata la guerra, il Regionale si stabilì definitivamente a Molfetta e, oltre ai chierici della Puglia, cominciò ad accogliere anche quelli della Basilicata, divenendo così  Appulo-Lucano.

L’accresciuto numero degli alunni spinse il Sommo Pontefice Pio XI ad avviare la costruzione del nuovo Seminario, di cui si pose la prima pietra il 7 giugno 1925. Dopo appena un anno, il 4 novembre 1926, l’edificio fu solennemente inaugurato dal Legato pontificio, Card. Gaetano Bisleti, Prefetto della Sacra Congregazione dei Seminari. Inaugurate poi anche le nuove sedi dei Pontifici Seminari Regionali della Basilicata a Salerno, nel 1932 e della Capitanata a Benevento nel 1934, quella di Molfetta rimase la sede del Seminario maggiore per le diocesi della Puglia centro-meridionale.

Dal 1° luglio 1968, per disposizione della Sacra Congregazione per l’Educazione Cattolica, il Seminario passò sotto la giurisdizione della Conferenza Episcopale Pugliese. Dal 1° ottobre 1969, per decisione della stessa Conferenza Episcopale il liceo fu trasferito a Taranto presso il seminario arcivescovile di Poggio Galeso, mentre la sede di Molfetta fu riservata agli studi filosofici e teologici. Il 12 settembre 1976, la Sacra Congregazione di Vescovi, nell’ambito della ristrutturazione delle regioni ecclesiastiche d’Italia, stabilì che le diocesi della Capitanata facessero parte della Regione conciliare pugliese.

Attualmente nel Seminario ha sede l’Istituto Teologico Pugliese “Regina Apuliae”, sezione della Facoltà Teologica Pugliese, eretta dalla Congregazione per l’Educazione Cattolica con decreto del 20 giugno 2005; l’Istituto conferisce i gradi accademici del baccellierato, della licenza e del dottorato in Sacra Teologia.

Nell’anno formativo 2002/2003 inizia in maniera residenziale l’esperienza dell’Anno Propedeutico. Il 15 ottobre 2011 la Conferenza Episcopale Pugliese, mediante il suo Presidente S.E. Mons. Francesco Cacucci, acquista dalle Figlie della Carità un immobile adiacente al giardino del Seminario e lo destina a sede della Comunità del Propedeutico intitolandolo a S. Vincenzo de’ Paoli.


Messaggio del papa Pio X al rettore del seminario regionale pugliese

Reverendo Padre e diletto figlio,

raggiunto felicemente in codesta Regione il fine dei provvedimenti reclamati dalle speciali circostanze di molte Diocesi d’Italia per l’educazione e l’istruzione del clero, saluto con la massima compiacenza l’inaugurazione del primo Seminario Interdiocesano.

Presente in spirito alla festa del p.v. mercoledì interesso la bontà e la Paternità vostra a farsi interprete dei miei sentimenti di gratitudine con tutti ed in modo speciale con i Venerandi Vescovi delle Puglie, che entrando a parte delle mie sollecitudini, rinunciarono, anche a costo di sacrifici, alla soddisfazione pur santa, di avere nei lori Seminari gli aspiranti al sacerdozio, dando così un esempio a tutti i loro confratelli d’Italia. Iddio largamente li ricompensi  per la consolazione che con la loro docilità mi hanno data!

Ringrazio i diletti Padri della Veneranda Compagnia di Gesù della Provincia Napoletana, che, incoraggiati dal Reverendissimo loro Padre Generale e coadiuvati dai confratelli delle altre Province d’Italia, della Francia e della Germania, non risparmiarono cure e sollecitudini per preparare, dietro le norme da me stabiliti per gli studi teologici, un seminario modello.

Raccomando poi a tutti i giovani di approfittare di questo beneficio della divina Provvidenza per rispondere alla loro vocazione, per rassodarsi nella pietà, per crescere in virtù e conservare quel tenore di vita che sia pari all’altezza del ministero al quale aspirano. Siccome poi il sacerdote alla bontà della vita deve unire la scienza, ognuno si consacri con vero amore allo studio delle discipline per essere maestro ai popoli e per avere armi irresistibili atte a dimostrare la verità della fede cattolica, a difendere i diritti della Chiesa, a confutare gli errori, in modo che l’istruzione di ognuno, piena in tutte le parti e perfettamente compiuta, splenda in esempio.


Messaggio del papa Pio XI al Card. Bisleti per l’inaugurazione della nuova sede del pontificio seminario Appulo – Lucano

Diletto figlio, salute ed Apostolica Benedizione.

Nessuno certamente ignora che i Romani Pontefici, fin dagli albori della Chiesa, hanno dedicato lavoro ed impegno nella preparazione conveniente e fedele dei chierici. Impegno che nella Chiesa di Dio, si è manifestato particolarmente dopo il Concilio di Trento in cui si fece in modo che coloro i quali fossero stati chiamati ai sacri ministeri, non fossero istruiti e formati dal criterio e dalla particolare competenza dei sacerdoti di curia, ma accolti in quei luoghi di formazione spirituale e culturale che, col trascorrere del tempo, sono stati eretti sotto buoni auspici in ciascuna diocesi, fossero sostenuti nel nutrimento della saggezza.

In quel momento quanto migliorasse la formazione dei sacerdoti, ma anche quanto risultassero più puri i costumi della gente, lo dimostrarono quei luminosi uomini di chiesa che istruiti in seminario nelle discipline sacre e profane e formati alla santità della vita fecero in modo che, sconfitti dagli errori del tempo, la fede della Chiesa e l’educazione dei costumi fossero posti al sicuro. In seguito con lo scorrere degli anni diventando la ricerca delle scienze teologiche e profane ogni giorno più consueta e più viva, era consequenziale che i candidati all’Ordine Sacro risultassero all’altezza dei tempi.

Tuttavia dovendo pochi ed espertissimi insegnanti far fronte al grande numero delle diocesi ed essendo gli stessi destinati a molteplici e vari compiti, il nostro predecessore Pio X stabilì opportunamente che si costruissero seminari comuni alle varie diocesi, per l’insegnamento della filosofia e della teologia. Da parte nostra poi fin dagli esordi del nostro pontificato avendo deciso di continuare nel momento di un così importante impulso, sulla via battuta dai nostri più immediati predecessori, dopo aver fondato il Seminario di Fano per la Regione Picena e destinato il Seminario di Assisi ad altro uso, dopo aver provveduto all’edificazione di uno più grande e più adatto nella stessa città, ci siamo preoccupati che ne sorgesse un altro a Molfetta per accogliere i chierici delle Puglie e della Lucania.

Affinché l’inaugurazione di codesto seminario Appulo-Lucano sia più solenne, Noi vogliamo essere ivi personalmente presenti tramite un Nostro legato. Così con questa lettera scegliamo Te, diletto figlio, il cui compito è regolare l’attività dei Seminari  perché per la circostanza rappresenti lì  la Nostra Persona  e celebri a nostro nome la solenne cerimonia. Da ciò tutti comprenderanno che nulla più intensamente ci interessa quanto la solida e quanto più assolutamente perfetta formazione di chierici. In questa occasione ripromettiamo a Noi e alla Chiesa un’abbondanza di frutti per il cui auspicio e a testimonianza della Nostra paterna volontà, a te, figlio e a tutti i Vescovi di queste regioni, ai nuovi superiori, agli insegnanti e agli studenti impartiamo volentieri la Apostolica Benedizione nel Signore.

Dato a Roma presso S. Pietro l’8 ottobre 1926 anno quinto del Nostro pontificato.

Pius pp. XI


Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per il centenario del Pontificio Seminario Regionale Pugliese “Pio XI”

Mi unisco con gioia al corale ringraziamento che la comunità del Seminario Regionale “Pio XI” eleva al Signore in occasione del centenario della sua fondazione. Durante i cento anni trascorsi, in codesto Seminario si sono preparate al ministero sacerdotale numerose schiere di seminaristi, e tra questi non pochi la Provvidenza divina ha chiamato poi a svolgere il loro ministero pastorale come Ordinari di Comunità diocesane o Vescovi al diretto servizio della Sede Apostolica.

Colgo volentieri una così propizia circostanza per sottolineare quanto sia importante coltivare con attenzione le diverse dimensioni  – umana, spirituale, teologica e pastorale – della formazione sacerdotale secondo gli insegnamenti del Concilio Vaticano II e dei miei venerati Predecessori, ben consapevole che, più che mai, oggi s’avverte la necessità di sacerdoti santi e totalmente dediti al servizio della Chiesa.

Incoraggio pertanto i Vescovi di codesta Regione a proseguire nella loro zelante cura dei seminaristi e nella promozione delle vocazioni sacerdotali che, con l’aiuto divino, producono frutti promettenti, come dimostra l’attuale nutrita presenza di alunni nel Seminario. A tale fine assicuro volentieri la mia preghiera, perché il Signore continui a vegliare con benevolenza su codesta Istituzione Pontificia e la renda sempre faro per generose vocazioni e fucina di futuri apostoli del Vangelo nella Chiesa di oggi. Con tali sentimenti, invoco la materna protezione di Maria, “Regina Apuliae”, ed invio di cuore al rettore, ai professori e agli alunni la Benedizione Apostolica, estendendola con affetto al Signor Cardinale Zenon Grocholewski, che presiede la Celebrazione eucaristica di apertura dell’anno centenario, ai Vescovi della Regione, ai sacerdoti e a tutti i presenti.

Dal Vaticano, 4 novembre 2008, Festa di San Carlo Borromeo.

Benedictus pp. XVI

Una storia della Formazione nel Pontificio Seminario Regionale Pugliese [1]

di Mons. SALVATORE PALESE

Per la festa inaugurale del primo seminario interdiocesano delle Puglie, che si celebrò l’11 novembre 1908, a Lecce, Pio X indirizzò al rettore p. Guglielmo Celebrano, gesuita, un vibrante messaggio.[2] Egli espresse gratitudine ai Vescovi della Conferenza Episcopale “per la consolazione che con la loro docilità” gli avevano dato; entrando a parte delle sue sollecitudini, avevano dato “un esempio a tutti i loro confratelli d’Italia, rinunciando cioè anche a costo di sacrifici e alla soddisfazione più santa, di avere nei loro seminari gli aspiranti al sacerdozio.” Il papa, poi, ringraziava i Padri della Compagnia di Gesù della Provincia Napoletana che avevano messo a disposizione i loro uomini migliori “coadiuvati dai confratelli delle altre Provincie d’Italia, della Francia della Germania”, per realizzare nelle regioni meridionali “un seminario modello”.

Rivolgendosi direttamente ai giovani, augurò di approfittare di quel beneficio della divina Provvidenza per rispondere alla loro vocazione, per rassodarsi nella pietà, per crescere in virtù e conservare quel tenore di vita, che siano pari all’altezza del ministero al quale aspiravano.

Quindi specificò che “il sacerdote alla bontà della vita deve unire la scienza”, esortando che “ognuno si consacri con vero amore allo studio delle discipline per essere maestro ai popoli e per avere armi irresistibili atte a dimostrare la verità della fede cattolica, a difendere i diritti della Chiesa e confutare gli errori, in modo che l’istruzione di ognuno, piena in tutte le sue parti e perfettamente compiuta, splenda in esempio”.

Come si sa, nel 1908, erano già aperti altri seminari interdiocesani. Questi e quello di Lecce rappresentavano le prime realizzazioni del pressante appello che Pio X aveva rivolto ai Vescovi, il 28 luglio 1906, per richiamare “tutta l’attenzione del loro spirito e tutte le energie del loro pastorale ministero tanto era il disordine di cui già si provavano i funesti effetti”, e quindi per sollecitare urgenti provvedimenti necessari per la formazione e la disciplina del clero in Italia.

Quello dei seminari e della condizione del clero era diventato il problema di notevole impegno in quei decenni a cavallo tra Ottocento e Novecento, e rappresentava una delle urgenze più sentite, a partire dal pontificato precedente di Leone XIII. Pio X lo andava ripetendo a più riprese e si accingeva ad affrontare la situazione dei seminari a Roma, la sua diocesi, convinto com’era che la “ricostruzione di ogni cosa in Cristo che ci siamo proposti coll’aiuto del Cielo nel governo della Chiesa, esige, come più volte abbiamo manifestato, la buona situazione del clero, la prova delle vocazioni, l’esame della integrità della vita degli aspiranti e la cautela per non aprire loro con molta indulgenza le porte del santuario. Per far regnare Gesù Cristo nel mondo, nessuna cosa è così necessaria, come la santità del clero, perché con l’esempio, con la parola e con la scienza esso sia guida ai fratelli, che, come dice un antico proverbio, saranno sempre quali sono i sacerdoti: sicut sacerdotes, sic populus”[4].

Tale impegno della S. Sede a riguardo dell’educazione del Clero e degli aspiranti al sacerdozio culminò nel pontificato seguente, con la istituzione della Congregazione dei seminari e delle università degli studi, il 4 novembre 1915.

La Sede Apostolica, così, si fece carico di gestire la programmazione generale della formazione del clero.

L’apertura del seminario pugliese a Lecce avveniva, come se ne sente l’eco nel messaggio del 6 novembre 1908, nell’anno seguente in cui papa Sarto aveva affrontato con decisione responsabile e con motivata preoccupazione, la crisi originata dai cosiddetti “modernisti”, con il decreto Lamentabili del luglio 1907, con la enciclica Pascendi del settembre seguente e la condanna Il Rinnovamento nel dicembre i cui redattori erano stati ammoniti alla fine dell’anno precedente.

Questi rapidi accenni sono sufficienti ad indicare alcuni tratti del contesto in cui il 3 settembre 1908 i Vescovi della Conferenza Episcopale delle Puglie firmarono la notificazione che annunciava la istituzione del Seminario Regionale Pugliese, e il 1 novembre all’inizio della sua attività. I firmatari dell’annuncio erano gli Arcivescovi Giulio Baccaro di Bari, Gaetano Caporale di Otranto, Paolo Carrano di Trani, Barletta e Bisceglie, Pasquale Gagliardi di Manfredonia, Luigi Morando di Brindisi e i vescovi Pasquale Picone di Molfetta, Giovinazzo e Terlizzi, Luigi Pugliese di Ugento, Antonio Lamberti di Conversano, Giuseppe Staiti di Andria, Francesco di Costanzo di Monopoli, Nicola Zimarino di Gravina e Irsina, Gennaro Trama di Lecce, Pasquale Bellardi di Ruvo e Bitonto, Antonio di Tommaso di Oria[5].

“Seminario modello” lo voleva Pio X, quello leccese

Le linee essenziali con le quali lo aveva delineato nel messaggio del 6 novembre 1908, erano in sintesi, quanto superiori e seminaristi potevano approfondire nella esortazione al clero cattolico Haerent animo che il papa aveva pubblicato qualche mese prima, il 4 agosto, nella ricorrenza del 50° della sua ordinazione sacerdotale[6]. Lì egli delineava la figura del prete, indicando orizzonti religiosi, considerazioni teologiche, implicanze morali e percorsi educativi.

Con stile discorsivo e fortemente sentito, papa Sarto affermava, innanzitutto, la necessità della santità sacerdotale, quindi ne illustrava le esigenze, infine trattava ampiamente di mezzi per conseguirla.

La santità della vita è richiesta dal grado della dignità del sacerdote. Egli, infatti, è luce del mondo e sale della terra. L’ufficio sacerdotale, poi, lo si esercita nel nome di Gesù Cristo; il compito sacerdotale è quello di rappresentare Gesù Cristo stesso in persona ed esercita la missione ricevuta, in modo da realizzare il fine da lui stesso inteso. Il prete è amico di Cristo, rappresentante di Dio, riconciliatore dei peccatori, offerente il sacrificio dell’altare. Lunga e significativa è la citazione di quanto Carlo Borromeo ricordava ai preti della sua arcidiocesi milanese, per illustrare la sollecitudine per la salvezza dei fedeli loro affidati[7].

Si tratta della visione del prete secondo la migliore tradizione tridentina, esplicitata dalle significative esperienze maturate nell’età moderna; esperienze rappresentate dalle prospettive apostoliche dei Chierici regolari e dagli approfondimenti della spiritualità francese che si erano diffuse nei paesi europei e negli scenari missionari della evangelizzazione dei vari continenti in quei secoli. La svolta pastorale delle istituzioni e dei ceti ecclesiastici, progettata dal Tridentino, si andava lentamente compiendo.

Il rinnovamento del clero che Pio X auspicava, implicava l’educazione di giovani a siffatto modo di essere e papa Sarto richiamava nella sua esortazione l’attenzione sui seminari. Egli ne indicava gli obiettivi: l’istituzione letteraria e scientifica e “ la formazione a una pietà sincera”. Il conferimento degli “ordini” minori è di quelli sacri diventano, per lui, le tappe di un cammino educativo al ministero sacerdotale[8].

La santità comporta la confermazione all’esempio dato da Gesù Cristo “il maestro e il modello”; se tanto vale per ogni cristiano, ancor più deve dirsi per il sacerdote. E non si tratta soltanto di una “ santità personale”, ma pure la sua espressione nelle opere del ministero, tanto il prete è “ strumento di cui Dio si serve per la salvezza delle anime” e “occorre che egli sia idoneo ad essere maneggiato da Dio”. Un esempio è dato nel santo Curato D’Ars, Giovanni Maria Vianney, canonizzato di recente, per i sacerdoti che, in definitiva possono essere considerati come “uomini che tendono unicamente al cielo e ansiosi di condurre gli altri ad ogni costo”[9].

La santità sacerdotale, continuava Pio X, si consegue innanzitutto con la preghiera quotidiana, personale e ufficiale, convinta e continua, “mezzo di capitale importanza e la quotidiana meditazione delle cose esterne” e papa Sarto si sofferma per lunghi paragrafi; essa, infatti aiuta a cogliere la più autentica “carità pastorale” nel ministero che si svolge “in un modo corretto”, a riempire di sostanza cristiana la predicazione, a sostanziare di saggezza e virtù la cura delle anime; infine, ad inverare la situazione di essere “un altro Cristo”[10].

Alla meditazione quotidiana si aggiungono altri mezzi, come “la lettura assidua dei libri spirituali e in primo luogo di quelli ispirati da Dio”, l’esame di coscienza a conclusione di ogni giornata. Insomma è la preziosa metodologia della spiritualità ignaziana.

La santità dei comportamenti esige pure la obbedienza ai pastori e la concorde docilità alla loro autorità, nonché la fraterna vicinanza agli altri preti, come lo potevano favorire le associazioni sacerdotali che si andavano diffondendo. Infine, la conservazione e lo sviluppo della grazia sacerdotale avrebbero trovato incremento nella partecipazione ai frequenti ritiri spirituali e agli annuali esercizi spirituali.

Questo insieme di ideali e di modalità che Pio X proponeva al clero cattolico agli inizi del Novecento, costituiva il quadro educativo di riferimento, perché il seminario regionale pugliese di Lecce diventasse un “seminario modello” per l’intera Italia, secondo gli auspici del 6 novembre 1908.

Ma sullo sfondo della sua esistenza come sull’orizzonte culturale della presenza del clero vi era lo scompiglio della società cristiana, operato dalla rivoluzione liberale negli stati nazionali e del movimento socialista in ascesa nel continente europeo. Ricorrono, infatti, accenni non lievi ai “nemici” della fede e della Chiesa, che “agiscono e incalzano con grande alacrità, senza badare a fatiche, impavidi, e la rovina delle anime è immensa”[11]. Le preoccupazioni dovevano risvegliare energie positive, per resistere e per guadagnare a Cristo “folte schiere di giovani” con rinnovato impegno catechistico, ma pure “con l’aiuto di ogni possibile consiglio e attività”[12]. Nell’orizzonte operativo del clero futuro si intravedeva la sua missione religiosa all’interno della società che si andava profondamente trasformando.

Questo modo di essere preti si proponeva ai superiori gesuiti e ai giovani pugliesi del seminario leccese[13]. Profonda santificazione interiore e rinnovato zelo apostolico arricchivano la figura del prete, rilanciata dal papa Sarto, che superava gli schemi della passata cristianità e provocavano pure, certe esperienze nel sociale dei due ultimi decenni dell’Ottocento a trovare le ragioni del diventare preti e dell’operare da preti.

Di particolare importanza per lo sviluppo degli studi nei seminari, finalizzati alla “santa e perfetta formazione dei futuri ministri di Dio” fu l’ordinamento degli studi, pubblicato il 16 luglio 1912, con la circolare s. Congregazione Concistoriale ai Vescovi d’Italia: erano significative le spinte di ammodernamento con l’attenzione verso le discipline storiche[14]. Altrettanto fondamentale per la configurazione dei seminari regionali fu la costituzione apostolicaSusceptum inde del 25 marzo 1914[15].

Ma all’inizio della prima guerra mondiale nell’agosto 1914 ebbe incidenza notevole, perché non pochi chierici furono chiamati al servizio militare all’entrata dell’Italia nel conflitto nel maggio 1915. I chierici soldato e i cappellani militari rappresentarono una nuova figura di prete, con i loro particolari problemi che si vennero evidenziando negli anni seguenti. Anche nei seminari e nelle file del clero entrarono le vampate del patriottismo.

Due avvenimenti che avrebbero segnato la formazione del clero nei decenni seguenti, furono la istituzione della Pontificia congregazione per i seminari e le università degli studi, il 4 novembre 1915, da parte del nuovo papa Benedetto XV, di cui si è fatto cenno, e la pubblicazione del Codice di Diritto Canonico, il 27 maggio 1917. Con questo assumeva carattere stabile di legge universale la disciplina sui seminari e di tutto quello che riguardava la loro istituzione e organizzazione, nonché i professori e i superiori. In modo laconico, al can. 124 era detto: Clerici debent sanctiorem prae laicis vitam interiorem et exteriorem ducere eisque virtute et recte

Frattanto i giovani pugliesi del seminario regionale furono trasferiti da Lecce a molfetta nei locali del seminario locale, messo a disposizione dal vescovo Pasquale Picone, a partire dall’autunno 1915; i Gesuiti lasciarono la direzione che fu affidata ad un prete diocesano, Raffaele Delle Nocche che fu rettore fino all’agosto 1920. I disagi non furono lievi, la condizione generale del seminario regionale rimaneva ancora debole, a dieci anni dalla sua fondazione. Contribuì non poco alla sua stabilità, con ricadute benefiche sulla formazione dei giovani al futuro ministero, la pubblicazione di uno specifico Ordinamento dei Seminari, dato ai Vescovi d’Italia dalla specifica Congregazione, il 26 aprile 1920: “i seminari /…/ rimangono esclusivamente destinati a preparare i giovani, non a civili carriere, ma all’alta missione di ministri di Cristo”[16]. E alla fine di quel decennio, così gravido di evoluzioni politiche in Italia, dal Concordato dell’11 febbraio 1929, ai seminari diocesani fu dato il riconoscimento giuridico ed ai chierici l’esenzione dal servizio militare quando si trovassero ormai investiti degli ordini sacri[17]. Pio XI, inoltre, con diversi interventi li arricchì di strumenti per la formazione culturale e teologica dei giovani. Di fondamentale importanza per le diocesi pugliesi fu la costruzione della nuova sede del seminario regionale di Molfetta, voluta con munifica determinazione e lunghezza di prospettive, da papa Ratti, grazie all’opera del rettore Giovanni Nogara, oblato di s. Carlo della diocesi milanese, dall’agosto 1920 fino alla morte, il 22 marzo 1931. Con la nuova sede propria inaugurata il 4 novembre 1926, la stabilità della formazione dei giovani pugliesi era garantita, tanto il legame con la S. Sede diventava diretto ed efficace. Le norme per i seminari regionali d’Italia, del 7 marzo 1929 ne regolamentavano l’attività e ne impostavano i programmi educativi sempre più chiaramente[18]. Ulteriori norme date il 25 marzo 1936 riguardavano specificamente la loro direzione, i professori e l’attività scolastica[19]. Al tempo stesso la pubblicazione della costituzione apostolicaDeus scientiarum Dominus del 24 marzo 1931[20] metteva ordine negli studi teologici e universitari, ridimensionando gli orizzonti accademici che un po’ ovunque, nei seminari, avevano suscitato enfatici entusiasmi e inutili impegni.

In Italia, frattanto, la società si impregnava di ideologie, diverse dalla tradizione cattolica e cristiana e nell’Occidente il Socialismo e il comunismo si alimentavano delle suggestioni provenienti dall’Unione Sovietica. Ovunque i regimi autoritari con l’orizzonte totalizzante dei loro programmi politici, diventavano regimi totalitari, secolarizzanti mentalità e comportamenti, e coinvolgevano gli stessi cattolici che ne condividevano mete e strumenti, sia pure in modo diverso, all’interno delle vicende dei propri paesi. Alla evidente persecuzione delle Chiese ortodosse in Russia, si aggiungevano non soltanto le situazioni creatisi in Germania, ma pure quelle particolarmente violente del Messico e infine nella Spagna. Ai responsabili delle istituzioni ecclesiastiche e della guida pastorale delle diocesi e delle parrocchie toccava sperimentare con crescente difficoltà, un modo del tutto nuovo di educare le coscienze e di proporre le prospettive del comportamento cristiano.

La ricorrenza del cinquantesimo dell’ordinazione sacerdotale offrì a papa Ratti l’occasione di parlare del sacerdozio cattolico, come era accaduto al predecessore Sarto nel 1908.

La lettera enciclica Ad catholici sacerdotii del 20 dicembre 1935[21] configurava con chiarezza la dottrina specifica alla luce delle acquisizioni più sicure emergenti nella teologia cattolica e delle esperienze concrete. Si pensi, ad esempio, alla riflessione sulla vocazione al sacerdozio e alla nuova configurazione di ministeri pastorali nelle scuole e nelle associazioni laicali come l’Azione Cattolica.

Papa Ratti, già nel 1922, a poco tempo dalla sua elezione, aveva tracciato delle direttive cui doveva ispirarsi la formazione sacerdotale dei giovani aspiranti[22], e poi aveva promosso la istituzione di altri seminari regionali con la dotazione di quanto era necessario alla loro attività educativa[23], nonché la menzionata costituzione del 1931 che riordinava gli studi accademici nel mondo cattolico. Egli stesso, nella lettera enciclica del 1935, si riferiva al compito del prete nella educazione della gioventù, nella pastorale degli sposi, nonché nei problemi della giustizia nella società e nell’esercizio della misericordia divina per quanti hanno bisogno del perdono divino.

La sublime dignità del prete cattolico consiste nell’essere “ministro di Gesù Cristo, strumento del divin Redentore per continuare nel corso dei secoli la sua opera redentiva[24]. Egli esercita il potere sul corpo reale[25] di Cristo, ma pure sul corpo mistico; dispensatore dei “misteri di Dio” ai cristiani nel corso della loro esistenza con i sacramenti che celebra a loro vantaggio “dalla culla alla tomba, anzi al cielo, il sacerdote è accanto ai fedeli, guida, conforto, ministro di salute, distributore di grazia e di benedizione”, in special modo in nome di Dio perdona i peccatori[26].

Il sacerdote, inoltre, esercita “il ministero della parola[27] per mezzo del quale egli diventa apostolo della verità divina di cui è depositaria la santa Chiesa di Cristo”.

Infine, la dignità del prete cattolico consiste nel ruolo di mediatore tra Dio e gli uomini, con la preghiera ufficiale e con quella privata[28].

Pertanto, la sublime dignità del sacerdozio cattolico esige in chi ne è investito una chiarezza di mente, una purezza di cuore, una santità di vita corrispondenti alla sublimità e alla santità dell’ufficio sacerdotale[29]. Egli, distributore della grazia di Dio e maestro della verità divina, non può trascurare la propria santificazione[30], vale a dire “deve vivere come un altro Cristo”[31].

Perciò in lui devono fiorire le virtù cristiane in grado eccelso: la pietà in primo luogo, nei rapporti con il Pare, il Cristo e la sua madre; la castità nella condizione celibataria del clero latino; il distacco dai beni terreni; lo zelo pastorale; l’obbedienza nei confronti del proprio vescovo e del papa; la scienza adeguata al “ministero della parola” e conseguita con lo studio serio e profondo delle discipline teologiche, che renda il sacerdote cattolico “idoneo alla sacra predicazione e alla guida delle anime” ma pure colto del patrimonio che è comune agli uomini colti del suo tempo, che lo renda “sanamente moderno”[32]. Insomma la virtù e la scienza sono necessarie al sacerdote per stare in mezzo ai laici cattolici in modo benefico ed efficace.

Se meritano attenzione le sottolineature fatte da Pio XI sulla castità, sull’obbedienza, sul distacco dai beni e sulla “cultura generale più vasta e più alta”, che devono caratterizzare il comportamento del prete cattolico degli anni ’30 del Novecento, ampia è pure la terza parte dell’enciclica, precisamente dedicata alla “preparazione” al ministero sacerdotale.

La formazione dei giovani deve essere proporzionata alla dignità del sacerdozio; i seminari dunque meritano la cura più appropriata. Qui si prepara l’avvenire dei sacerdoti: accurata, perciò, deve essere la scelta dei superori e dei direttori spirituali, nonché dei docenti, da parte dei vescovi, i quali sono fortemente esortati a congiungere i loro impegni istituendo seminari comuni nelle loro regioni.

“Ma tutto questo magnifico sforzo per l’educazione degli alunni del seminario poco gioverebbe se non fosse accurata la scelta dei candidati stessi, per i quali i seminari sono eretti e amministrati”[33].

Sono davvero interessanti le indicazioni circa la individuazione della vocazione che va fatta con saggezza e determinazione. “Essa si rivela nella retta intenzione di chi aspira al sacerdozio, unita a quel complesso di doti fisiche, intellettuali e morali che (il giovane aspirante) rendono idoneo per tale stato”[34]. L’acquisizione della scienza sufficiente entra pienamente nei criteri valutativi della vocazione autentica. La selezione si impone come un dovere morale da parte dei responsabili della formazione: ritardi e tolleranza recano danno ai giovani stessi e al loro avvenire, e compromettono il loro ministero futuro. Particolare è il richiamo ai confessori e ai direttori spirituali. La responsabilità dei vescovi è certamente principale e il papa si sofferma, evidentemente con specifica cura, nel rilevare quale importanza hanno le decisioni dei vescovi. Essi, come i superiori dei religiosi, sono invitati a non recedere dalla “necessaria severità” temendo la diminuzione dei sacerdoti nelle diocesi o negli istituti religiosi: saranno giudicati dal Signore anche su questo. Particolarmente significativo degli sviluppi pastorali del Novecento, è pure l’invito alla preghiera per le vocazioni sacerdotali, a tutti i fedeli[35]. Come pure il richiamo alla cooperazione che i laici dell’Azione Cattolica continuino a dare in tale settore, rilevando “che il laicato cattolico in nessun’altra maniera meglio che collaborando a questo accrescimento delle file del clero secolare e regolare, parteciperà davvero all’alta dignità di ‘regale sacerdozio’ che il principe degli apostoli attribuisce a tutto il popolo dei credenti”[36].

Autentica novità a riguardo della preparazione al ministero sacerdotale è rappresentato dall’attenzione allacollaborazione delle famiglie cristiane “ il primo e più naturale giardino dove devono quasi spontaneamente germinare e sbocciare i fiori del seminario”[37]. Il coinvolgimento dei genitori nel cammino formativo dei giovani è una indicazione interessante.

L’accorato appello conclusivo, diretto ai sacerdoti, richiama l’impegno alla santificazione personale a garanzia della efficacia della loro attività personale; al raccoglimento e alla preghiera, alla pratica degli esercizi spirituali, ogni anno[38]. Ai giovani chierici una sintesi per un programma di formazione “secondo il cuore di Dio”: pietà, preghiera, umiltà, obbedienza, disciplina, studio. Sono le linee che ritornano poi nel regolamento dei seminari regionali, pubblicato nel 1936, di cui si è parlato.

È evidente lo sviluppo della configurazione del prete sia nelle connotazioni teologiche della sua dignità, che in quelle spirituali e pastorali, nel contesto di una società che è avviata nel percorso della secolarizzazione laicizzata e materialista.

Non si è in grado di indicare i termini di veicolazione del magistero di Pio XI nelle modalità educative in atto nel seminario pugliese di Molfetta. Non abbiamo trovato, infatti, puntuali richiami sul bollettino dell’istituto, il Miles Christi. È probabile che nei colloqui con i giovani e negli interventi comunitari il rettore Pietro Ossola (1931 – 1942), nonché i direttori spirituali abbiano veicolato ideali illustrati da papa Ratti. È certo, però, che all’interno della comunità si affermò in quei decenni un dinamismo pastorale, suscitato dagli interessi promossi per l’attività catechistica, per la sensibilità missionaria, per la diffusione della buona stampa. Una riflessione pastorale, probabilmente ispirata dall’enciclica di Pio XI del 1935, ci sembra quella compiuta dai vescovi pugliesi, d’intesa con la direzione del seminario di Molfetta di cui era rettore Corrado Ursi (1942 – 1951), ed è contenuta nelle direttive date il 29 giugno 1943, a proposito del reclutamento delle vocazioni sacerdotali[39].

Anche il seminario regionale fu coinvolto direttamente dalle vicende drammatiche del secondo conflitto mondiale, fino alla sospensione dell’attività a causa della occupazione militare della sua sede, nell’autunno 1943. Senza dire dell’appassionata partecipazione alla ricostruzione della vita politica e democratica del paese: il referendum istituzionale del 1946, la composizione dell’assemblea costituente le elezioni dell’aprile 1948 per la formazione del Senato e delle Repubblica e della Camera dei Deputati. E’ sufficiente scorrere le pagine del Miles Christi per cogliere il clima di partecipazione politica che da Molfetta si diffondeva nel clero pugliese[40].

Nel corso dell’anno santo del 1950 e nel quadro della “restaurazione cristiana” interpretata da Pio XII, la promozione della santità della vita dei preti divenne un obiettivo privilegiato, perché urgente e necessario, nelle attenzioni dei vescovi, considerate le trasformazioni dei rapporti dei popoli e delle loro società, avviate dalla tragedia della seconda guerra mondiale. L’argomento fu oggetto della esortazione che papa Pacelli rivolse al clero cattolico, il 23 settembre 1950, nella ricorrenza del suo cinquantesimo di sacerdozio, la Menti nostrae.

Nella prima e nella seconda parte viene illustrata la santità della vita sacerdotale e quella nel sacro ministero.L’insegnamento di Pio XII si avvale di quanto egli aveva esposto a riguardo, nella Mistici corporis del 1943 e nellaMediator Dei del 1947. Nella prima egli aveva affermato che “con il sacro ordine si consacrano per sempre al servizio di Dio e coloro che sono destinati a offrire l’Ostia eucaristica, a nutrire il gregge dei fedeli col Pane degli angeli e col pascolo della dottrina, a dirigere con i precetti e i consigli divini e a confermare nella fede con altri uffici superni”[42]. Nella seconda aveva pure insegnato che “la potestà sacerdotale è conferita a coloro che hanno ricevuto l’imposizione delle mani e in virtù di essa, come rappresentano davanti al popolo loro affidato la persona di Cristo, così rappresentano il popolo davanti a Dio /…/ La potestà conferita non ha nulla di umano nella sua natura, è soprannaturale e viene da Dio/…/ Perciò il sacerdozio eterno e visibile su Gesù Cristo si trasmette nella Chiesa non in modo universale, generico e indeterminato, ma è conferito a individui eletti con la generazione spirituale dell’ordine, uno dei sette sacramenti, il quale non solo conferisce una grazia particolare, propri di questo stato e di questo ufficio, ma anche un carattere indelebile che configura quei legittimi atti di religione con i quali gli uomini sono santificati e Dio è glorificato secondo le esigenze della comunità soprannaturale”[43].

Su questi pilastri dottrinali la santità della vita sacerdotale[44] viene disegnata da Pio XII come un cooperazione a Gesù Cristo, come imitazione di Lui che “nella vita terrena ha dimostrato il suo ardentissimo amore verso il Padre e partecipato agli uomini gli infiniti tesori del suo cuore”[45]. Pertanto la intima unione con Cristo si sviluppa partendo dall’ultima e progredendo fino alla immolazione della volontà attraverso l’obbedienza; si esprime nel celibato e nel distacco delle ricchezze e delle cose terrene e nella coltivazione di ogni virtù cristiana. E’ necessario, dunque, che il sacerdote imiti Cristo nel sacrificio sul Calvario e nel sacrificio eucaristico: così egli attinge la grazia per raggiungere la vetta della santità. Il mezzo efficace della sua santificazione è la recita del divino ufficio, come voce di Cristo e della chiesa compiuto con retta intenzione e diligente meditazione. Ma pure con gli esercizi di pietà, la meditazione quotidiana, la preghiera personale, la devozione a Maria, la visita al SS. Sacramento, l’esame di coscienza, la confessione frequente, la direzione spirituale e gli esercizi spirituali.

La santificazione è conseguita dal prete nell’esercizio del suo ministero: dispensando i misteri divini, sviluppando l’apostolato secondo i bisogni odierni e in unione a Cristo, sull’esempio dei santi, vigile pero a non farsi prendere dal semplice fare (eresia dell’azione). Il sacerdote segue gli esempi di Cristo, nella carità, con il temperato uso dei beni terreni e con una preparazione dottrinale conveniente.

La teologia e la spiritualità del sacerdozio cattolico in Pio XII si configurano nell’essere e nell’operare “come alter Christus” nel senso più denso e dinamico, del sacerdote che opera mosso dalla carità.

L’aderenza della Menti nostrae agli anni ’50 del Novecento è più concretamente visibile nella terza[46] e nella quarta[47] parte dell’esortazione. Le “norme pratiche” si aprono con l’accorato appello al clero secolare e regolare a convergere con deciso e rinnovato impegno, “in unione di forze e di volontà, verso la meta comune, che è il bene della Chiesa, la santificazione propria e dei fedeli”, come lo esigono le condizioni delle popolazioni cristiane devastate dalla seconda guerra mondiale[48].

Innanzitutto, dice il papa, si impongono criteri più rigorosi nel reclutamento dei giovani aspiranti al sacerdozio. Se il numero delle vocazioni diminuisce, migliore deve diventare la formazione dei chierici, promuovendo ogni forma di educazione alla responsabilità personale, ogni mezzo di aggiornamento di quanto avviene nella società di ogni paese, i giovani devono essere educati all’onestà e alla lealtà, alla sincerità e alla schiettezza, alla fiducia nei superiori e alla apertura tra di loro. Davvero innovativa questa prospettiva educativa.

Altro campo di sviluppo è quello della formazione intellettuale: a quella filosofica e teologica va aggiunta quella letteraria e scientifica, con coraggio lungimirante e apertura intelligente, introducendo nel piano degli studi nuove discipline, come la sociologia e le moderne tematiche filosofiche. La formazione spirituale e morale non può prescindere dalle indicazioni provenienti dalla più sana conoscenza della psicologia e della pedagogia moderna, e deve mirare all’educazione, alla pietà fedele, all’obbedienza filiale e sincera, alla castità. Nuova attenzione va rivolta al giovane clero che si inserisce nel ministero: la formazione sia organizzata in modo adeguato e con forme originali, gli impegni ministeriali siano graduali e progressivi, la vita comune sia incoraggiata e sostenuta, lo studio sia continuato in modi diversi e con programmi adeguati. La cultura e l’aggiornamento del clero vanno favoriti attraverso biblioteche finalizzate agli impegni pastorali.

Non è difficile intravedere il percorso compiuto dalla Congregazione dei seminari negli ultimi decenni, sia nelle direttive date, sia nella organizzazione dei seminari che da essa dipendevano direttamente, come quelli regionali che in Italia erano operativi ormai nelle regioni centrali e meridionali.

Da quanto è dato conoscere, tali orientamenti educativi erano già in atto nel seminario di Molfetta, diretto da Corrado Ursi. Ad esempio, notevole era l’educazione liturgica da lui promossa, come particolarmente efficace era la vicinanza dell’ “Opera” di don Ambrogio Grittani, uno dei professori, per gli ACCATTONI DELLA CITTA’ E DEI DINTORNI, senza dire le varie iniziative di sensibilizzazione oratoriale e culturale, oltre quelle catechistiche e missionarie di cui si è fatto cenno.

Pio XII, infine, metteva in guardia dai pericoli del nostro tempo ed evidenziava alcuni problemi di attualità, nella quarta parte della sua esortazione al clero cattolico[49]. La serpeggiante smania di novità e di cambiamenti: il nuovo non è sempre vero! Ancora, gli atteggiamenti che si andavano delineando in alcuni ambienti circa la questione sociale: avversione alle dottrine liberali e alle situazioni economiche del nuovo capitalismo; tra le file del clero, aperture e simpatie verso dottrina ed esperienze socialiste. In Francia era in atto il fenomeno dei preti operai; in Italia la confessionalizzazione della politica originava la politicizzazione dell’attività pastorale. Tutto questo, ribadiva Pio XII, è compito dei laici che il sacerdote deve preparare laddove non ne siano capaci[50]. Infine, il papa affrontava l’argomento delle “strutture economiche nelle quali si sono venuti a trovare moltissimi sacerdoti, particolarmente di quelle regioni che hanno sentito maggiormente le conseguenze della guerra o della situazione politica”[51]. Egli esortava i vescovi e gli stessi preti, i pubblici poteri, ad affrontare le soluzioni dei problemi della previdenza e dell’assistenza sociale, suggerendo modalità che in Italia, ad esempio, ebbero poi qualche soluzione concreta. E tra le altre, negli anni ’60, videro il clero entrare nelle scuole inferiori e superiori per l’insegnamento della religione, dopo che divenne obbligatoria la frequenza della scuola media.

La interpretazione che fece dell’esortazione il rettore Ursi a Molfetta, è tutta nel titolo Sacerdote di fronte al mondo, sul quindicinale del Seminario, nell’ottobre seguente[52]. Brevi e rapidi sono gli accenni alla teologia del sacerdozio; più insiti sono i riferimenti alle preoccupazioni del papa, come il rischio della suggestione della dittatura del proletariato o delle chiusure negli schemi “del vecchio intramontabile liberalismo”, “la tentazione della modernità che porta fatalmente ad imborghesizzarsi”. Eppure di fronte all’anticlericalismo serpeggiante tra le popolazioni pugliesi, Ursi affermava che: “se, noi preti, viviamo ogni momento la pienezza della vita in Dio, se riveliamo nella nostra umanità, in ogni circostanza, in tutte le manifestazioni della nostra attività il volto e la santità di Gesù Cristo, non soltanto sottrarremo ai nemici gli argomenti-fulcro della loro propaganda, ma eserciteremo perfino vivissime attrazioni sugli erranti”. E in positivo egli indica la “regola d’oro” per la pratica politica del prete, data da Pio XII: “A somiglianza del Divino Maestro, il sacerdote vada incontro ai poveri, ai lavoratori, a tutti quelli che si trovano in angustie e in miseria /…/ Ma non trascuri coloro, pur ricchi di beni e di fortune, che sono spesso i più poveri nell’animo ed hanno bisogno di essere chiamati a rinnovarsi spiritualmente per fare come Zaccheo /…/. Probabilmente il riferimento ideale era l’amico don Ambrogio Grittani, il professore del seminario che si era dato ai poveri e che da lì a qualche mese avrebbe concluso la sua avventura terrena (30 aprile 1951)[53].

In siffatti contesti il rettore Ursi vedeva i seminari destinati a preparare i sacerdoti chiamati a dare attenzione “per amore ai dettai di giustizia e di carità verso i confratelli e i fratelli poveri” e facendo della povertà la virtù che conferisce veracità, libertà, slancio e splendore al Sacro Ministero[54]. Pertanto, egli continua, “i seminari sono chiamati a raggiungere la piena efficienza educativa, valorizzando i metodi tradizionali alla portata delle nuove esigenze. Essi devono preparare caratteri robusti. Per questo devono circondare gli aspiranti di austerità e allenarli al sacrificio in ambiente sereno, ma devono parimenti abituarli a quella certa giusta autonomia, che non è indipendenza al senso di libertà interiore, mantenerli poi al corrente delle idee correnti e dei metodi di conquista apostolica, sicché ben vagliati, muniti di una profonda pietà e di sicura dottrina e padroni di sé i novelli Sacerdoti siano in grado di muoversi speditamente nel mondo per la dritta via e capaci di sottrarsi e sottrarre i fratelli alle seduzioni e alle minacce dell’Anticristo”[55]. E rilanciava le proposte papali del primo post – sacerdozio e della vita comune, per il clero pugliese.

IL CINQUANTESIMO

La solenne celebrazione del cinquantesimo, nel 1958, è una tappa storica del seminario regionale di Molfetta: ad essa occorrerà tornarvi per ricostruire tutto quello che esso originò.

Gli sviluppi del clero della regione appaiono chiaramente nella composizione della compagine educativa e nel corpo dei docenti; Giuseppe Carata era il secondo rettore di origine pugliese (1951 – 1965), come gli altri superiori. La stessa comunità del seminario divenne consapevole della sua storia che scrisse don Raffaele de Simone, e delle sue potenzialità, attraverso i riconoscimenti ricevuti nelle iniziative pastorali e culturali che si svolsero in quell’anno[56]. L’udienza papale fissata per il18 ottobre 1958, non si tenne perché Pio XII venne a morire dieci giorni prima. Ma il discorso che egli aveva preparato e che poi fu reso pubblico, ribadiva il principio e fondamento della formazione sacerdotale “era la crescente e radicale donazione al Signore cui doveva essere educato il giovane seminarista”. Il papa spiegava che essa implicava il “formarsi un’anima sacerdotale”, “rendersi strumenti atti nelle mani di Cristo”, “prepararsi alla perseveranza”[57].

La manifestazione conclusiva del 27 – 28 giugno 1959 vide insieme la comunità, i vescovi pugliesi, il prefetto della Congregazione dei seminari, numerosi ex – alunni: la configurazione del seminario regionale era completa e condivisa, come seminario maggiore e unico delle diocesi pugliesi della regione ecclesiastica[58]. Quel momento rappresentava una tappa storica, dopo il trasferimento da Lecce a Molfetta (1915) e l’inaugurazione della nuova sede (1926).

Le mutate condizioni storiche alle quali l’esortazione pacelliana esortava di prendere nella debita considerazione, sollecitarono qualche apertura nella vita interna dei seminari. Si introdusse nel corso degli studi il “quarto liceo” per trattarvi “aggiornamenti filosofici”, letterari, pedagogici e scientifici. La Congregazione, da parte sua, investì sul futuro promuovendo significativi convegni annuali dei rettori dei seminari regionali e maggiori, dei direttori spirituali e delle singole categorie di docenti, come nella preparazione scientificamente qualificata dei giovani docenti, in Italia, con “borse di studio”. Ma la sua opera, prevalentemente attenta all’Italia, venne “travolta” dal movimento di idee che era originato dall’annuncio del Concilio Vaticano II che il nuovo papa Giovanni XXIII aveva dato il 25 gennaio 1959, a qualche mese dalla sua elezione.

Anch’egli scrisse una lettera enciclica Sacri nostri primordia, il 1 agosto 1959, per il suo giubileo sacerdotale, come, del resto fece il successore Paolo VI il 4 novembre 21963 con la lettera apostolica Summa Dei Verbum per la stessa ricorrenza. Ma l’attenzione generale era verso il grande raduno dei vescovi che iniziò l’11 ottobre 1962. Meriterebbero qualche considerazione le proposte specifiche sulla formazione sacerdotale che alcuni vescovi pugliesi indirizzarono per i lavori conciliari: erano chiare le nuove esigenze, non altrettanto le soluzioni dei problemi riguardanti il clero e la sua preparazione.

Intanto qualcosa continuava a muoversi, come esigenza di distinguere i percorsi educativi degli studenti liceali a quelli degli studenti dei corsi teologici, il bisogno di puntare alla responsabilità personale dei chierici più che l’osservanza rigida del regolamento tradizionale, la necessità di spazi organizzativi da lasciare a ciascuno, la introduzione delle vacanze nei periodi natalizi e pasquali, l’accorciamento della durata dell’anno formativi che da decenni iniziava a metà settembre e si concludeva a metà luglio in maniera ininterrotta. I rapporti con la famiglia di origine e la parrocchia di provenienza cominciavano ad evolversi in maniera significativa. Questo si avvertiva a Molfetta nel seminario regionale pugliese.

LA PROPOSTA CONCILIARE

Nella riflessione complessiva del concilio e nel suo grande progetto di rinnovamento, ai presbiteri e alla loro formazione preparatoria al ministero, furono dedicati due documenti, precisamente il decreto della formazione sacerdotale Optatam totius del 28 ottobre 1965 e il decreto sul ministero e la vita dei presbiteri, Presbiterorum ordinisdel 7 dicembre 1965.

La configurazione dei presbiteri, il loro ministro e la loro vita, la sensibilità spirituale e operativa, come la loro formazione, hanno una collocazione fondativa nella costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen gentium del 21 novembre 1964. La dottrina è impostata chiaramente in termini cristologici ed in prospettiva ecclesiale: è lo sviluppo importante dato dal concilio, in cui si ritrovano tanti elementi del magistero papale e di Pio XII in particolare. Il testo fondamentale è il n. 28 della Lumen gentium dove il presbitero è relazionato a Cristo, ai vescovi, agli altri presbiteri e l’intero popolo cristiano[59]. Nel proemio della Presbiterorum ordinis riecheggia quell’insegnamento e sinteticamente è detto:

“Presbiteri, in virtù della sacra ordinazione e della missione che ricevono dai Vescovi, sono promossi al servizio di Cristo Maestro, Sacerdote e Re, partecipando al Suo ministero, per il quale la Chiesa qui in terra è incessantemente edificata in Popolo di Dio, Corpo mistico di Cristo, e Tempio dello Spirito Santo”[60].

Pertanto il ministero dei presbiteri è configurato nel ministero della Parola di Dio, quindi nel ministero sacramentale ed eucaristico, infine nella educazione nella fede dei fedeli. E nella loro vita essi sono chiamati alla perfezione cristiana attraverso l’esercizio della triplice funzione che favorisce la loro santificazione; così è possibile la unità e la armonia della loro vita.

Le condizioni spirituali sono le virtù dell’umiltà e dell’obbedienza, la consapevolezza e gioiosa castità nel celibato, la povertà volontaria e il cristiano atteggiamento verso il mondo e i beni terreni. Nel decreto, infine, sono indicati i sussidi specifici per i presbiteri, al fine alimentare la propria unione con Cristo: la confessione settimanale, la devozione a Maria, la visita al S. Sacramento, lettura e meditazione della Sacra Scrittura, lo studio dei documenti del Magistero e, al tempo stesso, il perfezionamento della scienza teologica e della propria cultura, frequentando le appropriate iniziative che vengono proposte allo scopo, con eventuali studi specialistici, che pruomuovono pure “quel sano progresso delle scienze sacre che è del tutto necessario alla Chiesa”[61].

Sarà opportuno, infine, provvedere al giusto compenso dei presbiteri, che i Vescovi hanno il dovere di concretizzare, come sarà conveniente costituire un fondo comune di risorse con il quale provvedere al loro mantenimento, ed anche la previdenza sociale a favore del clero, secondo leggi ecclesiastiche e civili.

Non vi è dubbio che la figurazione del presbitero riceve nel Presbiterorum ordinis una illustrazione completa di motivazioni ideali e di concrete modalità, come mai era avvenuto nella storia: un punto di arrivo di secolari sviluppi e di progressive acquisizioni nell’orizzonte del cattolicesimo del Novecento, e pure fonte ispirativa di ulteriori traguardi nei contesti dei singoli continenti e dei loro paesi.

Nelle mutate situazioni e nella prospettiva teologica e spirituale, pastorale e sociale, la formazione a tale ministero balza nella sua peculiare importanza e necessaria definizione corrispondente alla condizioni proprie di ogni Chiesa particolare e agli intelligenti “adattamenti alle particolari circostanze di tempo e di luogo”[62]. E quanto viene prospettato nell’ Optatam totius. Di particolare interesse è la indicazione del coinvolgimento dell’intero popolo cristiano nel promuovere la vocazione al ministero presbiterale, come pure l’altra della progressiva formazione spirituale e intellettuale di giovani nei seminari minori e soprattutto nei seminari maggiori. Questi sono necessari per la formazione sacerdotale[63] di futuri “pastori di anime sull’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo Maestro, Sacerdote e Pastore”[64]. Questo è l’obbiettivo cui convergono tutti gli interventi educativi sui giovani aspiranti al presbiterato, e questo è pur il criterio della scelta dei superiori e del corpo insegnante: essi devono essere capaci di verificare la retta intenzione dei giovani e la loro iniziale idoneità ai compiti futuri. E per siffatta formazione e auspicabile che dove è necessario, si sviluppi la collaborazione delle chiese particolari, con seminari interdiocesani[65].

Nelle indicazioni rinnovative è capitale l’affermazione: “La formazione spirituale deve essere strettamente collegata con quella dottrinale e pastorale”[66]; è necessario un maggiore impegno nell’aiutare i giovani a conseguire la amicizia quotidiane con Gesù. Inoltre, gli studi ecclesiastici vanno revisionati in tale prospettiva senza cancellare gli sviluppi intercorsi nelle varie parti del sapere cristiano. Infine, la formazione “strettamente pastorale” sia chiaramente indirizzata al dialogo con tutti e allo spirito missionario. In conclusione la formazione va perfezionata dopo il periodo degli studi e della preparazione all’ordinazione presbiterale.

Il rinnovamento disegnato dai vescovi del concilio, come si vede, previde un seminario non più chiuso e isolato, ma aperto agli orizzonti complessivi e unitari, prolungato nel tempo. Sarà una vera e propria trasformazione dei seminari cattolici, che è ancora in corso, tanto fecondi di sviluppi, dono delle indicazioni conciliari; come lo fu quella indicata dal Tridentino che, per secoli, impegnò vescovi e regolari nonché ceti aristocratici delle città e monarchi, al fine di avere un clero all’altezza del suo ruolo centrale nella società cristiana dei regni confessionali di quei secoli o nella tradizione cattolica degli stati nazionali del Ottocento e del Novecento.

In questi processi avviati dal Concilio Vaticano II rientra pure la trasformazione del seminario regionale di Molfetta: si concludeva, frattanto il rettorato di Giuseppe Carata (dall’ottobre 1951 all’ottobre1965) e iniziava la direzione successiva, affidata a don Mari Miglietta (1965 – 1978). Di non poca rilevanza fu il passaggio del seminario alla giurisdizione della Conferenza Episcopale Pugliese, dal luglio 1968. La “transizione” avviata registrò un momento di “contestazione” anche qui, ma non furono facili i percorsi ai quali gli stessi vescovi si rivelarono non sufficientemente preparati. La realtà giovanile diventavo complessa e in quegli anni si andava caratterizzando di “radicalismo evangelico” e di ricerche innovative per tradurre completamente il ruolo “pastorale” delle diocesi e del loro clero, in un contesto sociale in movimento. Seguì un ventennio “esodale”, difficile e incerto come lo era il cammino generale della recezione conciliare e dell’attuazione delle riforme prospettate. Un fatto altrettanto importante fu la separazione dei corsi liceali trasferiti a Taranto, dal 1° ottobre 1969. Quello di Molfetta divenne l’unico seminario maggiore delle diocesi i cui vescovi facevano parte della Conferenza Episcopale della Puglia ecclesiastica[67]; con la configurazione che gli dava lo statuto redatto nel 1972[68]. Dopo il 12 settembre 1976 quello do Molfetta divenne pure il seminario maggiore delle diocesi della Capitanata i cui vescovi avevano fatto parte della Conferenza Episcopale Beneventana. Ed anche questo contribuì ad accentuare ala instabilità educativa mentre si andava affermando, forse in maniera accentuata e unilaterale, la incidenza delle parrocchie di origine nella formazione e di cui si diceva l’esigenza i “diocesanità”. Fare “comunione”, se era un dato teologicamente indiscusso, tradurlo in collaborazione completa diventava un traguardo impegnativo più del previsto. A tanto si aggiunga la crisi in cui si avviavano i seminari diocesani minori e il rapido declino di quello interdiocesano di Taranto.

Frattanto la grande comunità del seminario maggiore si andava trasformando in un insieme di “gruppi” i cui percorsi educativi venivano a caratterizzarsi dal conferimento dei ministeri istituiti e ordinati. Dalle “camerate” con il “prefetto” normalmente un chierico più grande d’età, si andava progressivamente passando al “gruppo” anch’esso comunità “educante” con l’animatore sacerdote; anch’egli impegnato in modo sempre più partecipe della formazione, sia pure sotto la responsabilità superiore del rettore; i direttori spirituali si configuravano in modo nuovo e diverso dal passato.

Infatti la vita dei gruppi si evidenziava pure con la liturgia propria, anche se i momento accomunanti nella grande comunità rimanevano incisivi. Nella formazione l’ascolto della parola si poneva sempre più al centro del metodo educativo e la tradizionale pietà privata cedeva il passo alla celebrazione liturgica; tutto in sintonia con le evoluzioni della spiritualità ecclesiale che caratterizzava sempre la attività pastorale delle parrocchie e delle diocesi.

Al tempo stesso la formazione si arricchiva delle esperienze pastorali che ciascun seminarista andava facendo in contesti ecclesiali diversi, nelle varie parti della regione, in verità non sempre vissuta con precisi obiettivi e secondo programmi almeno abbozzati. La mobilità settimanale venne ad intralciare l’impegno normale del lavoro intellettuale.

Anche gli studi ecclesiastici, filosofici e teologici, ricevettero degli aggiustamenti e si vollero configurare in modo da essere, in qualche modo, riconosciuti a livello accademico, con l’affiliazione alla Facoltà Teologica dell’Italia meridionale che si era venuta ad istituire a Napoli. Quest’esigenza determinò l’autonomia dell’organizzazione del corso degli studi e la loro direzione venne ad essere affidata al “prefetto degli studi”, distinto dal rettore del seminario, come invece era nel passato. È pure vero che i docenti erano considerati “educatori” dallo Statuto del 1972, come i superiori e i direttori spirituali. Ma il loro ruolo tendeva a definirsi staccato dalla responsabilità educativa del passato[69].

I problemi inerenti la formazione sacerdotale derivarono dalla condizione dei giovani. Cominciavano a sentirsi i segni di quella secolarizzazione che invadeva la società italiana. La legislazione del divorzio e dell’aborto avveniva in quegli anni ’70 e la laicizzazione della famiglia e della vita avviavano processi inediti nel mondo cattolico. In questi contesti veniva condizionata la vita cristiana delle famiglie e più problematici si intravedevano i risultati dell’attività pastorale delle parrocchie, anche in Puglia. Lo avvertivano i vescovi della Regione che riflettevano su questi cambiamenti all’interno delle considerazioni di quegli anni della Conferenza Episcopale Italiana e delle spinte propositive della Santa Sede, come si può dedurre dalla pubblicazione degliOrdinamenti e norme del 1972, aggiornati in quelli pubblicati nel 1980 dalla medesima Conferenza[70]. In questo passaggio, quasi ventennale, davvero delicato, in cui si registrarono slanci operativi e risultati fragili e limitati, fughe in avanti e opportune precisazioni, un’acquisizione persistente e valida si andò imponendo su ogni altra, l’impegno sempre più convinto e condiviso di inverare la formazione del futuro presbitero “ad immagine di Cristo buon pastore”

IL PROGETTO DEL 1989

Questo era il titolo del volume pubblicato nel 1988, a più di vent’anni dal concilio, nella ricorrenza dell’80° del Pontificio Seminario Teologico Pugliese[71]. I documenti formativi, messi insieme e organizzati da Vito Angiuli e Pio Zuppa, esprimono quella consapevolezza del modo di formare i futuri preti, che il mondo contemporaneo esigeva e che la Chiesa aveva detto di voler fare. La densa introduzione firmata l’11 novembre 1988, da Agostino Superbo, rettore dall’agosto 1985 al luglio 1991, dice alcuni prospettici che sintetizzano teologia e spiritualità ispirative del lungo e impegnativo lavoro educativo di quegli anni. Nel volume, infatti, sono riprodotti i piani formativi degli anni 1983/84 – 1988/89: essi costituiscono, senza volerlo, un vero e proprio progetto educativo.

Sono individuate le tappe di preparazione al seminario maggiore, il “corso propedeutico” e le articolazioni del primo biennio con il discernimento vocazionale e il triennio di formazione al ministero presbiterale, imperniato sullo sviluppo di ciascuno dentro la comunità del seminario e sul graduale e progressivo percorso di iniziazione pastorale nel “territorio”. Le idee guida dell’itinerario che si completa nel “VI anno”, sono la progressività della configurazione a Cristo pastore e la gradualità di tale esperienza; la ciclicità a livello formativo e progettuale; la promozione affidata ad un animatore specifico e la sua corresponsabilità nel progetto formativo complessivo; infine, l’azione educativa e l’impegno personale dei singoli ruotano intorno al discernimento per la elezione al ministero ordinato. Gli aspetti qualificanti dell’intero progetto sono: il valore di ogni singola persona e l’apertura alla comunità, la formazione spirituale incentrata nella conformazione a Cristo vita, la preparazione culturale considerata come dimensione veritativa e critica del cammino educativo al ministero, la convergenza di tutti gli aspetti formativi verso l’iniziazione pastorale. La conformazione a Cristo buon pastore è l’orientamento fondamentale e progredisce “anno per anno”: i percorsi e gli itinerari sono dettagliatamente illustrati nei contenuti e nelle modalità. Si può dire con don Tonino Bello che da vescovo di Molfetta, seguiva da vicino tanto impegno, il seminario maggiore pugliese diventava un “laboratorio” di idee e un “cantiere” di formazione del clero dell’intera regione[72]. Tanto lavoro, peraltro, era in linea con quanto di più sicuro si andava definendo nel mondo cattolico, come avvenne nel Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 1990, e trovò conferma nella esortazione apostolica post-sinodale Pastores dabo vobis, firmata da Giovanni Paolo, il 25 marzo 1992.

Tale progetto continua a imperniare la identità culturale del seminario molfettese. Identità che ha la sua matrice nella riflessione del Concilio Vaticano II, e si alimenta pure delle peculiarità storiche di questa regione così distesa e così diversa, con i suoi incessanti cambiamenti, con i suoi limiti e con le sue potenzialità.

Ma se il progetto è chiaro, è in forte movimento la condizione dei suoi destinatari, i giovani, e cresce pertanto la esigenza di formatori capaci di tale impresa educativa.

Negli anni ’90 si registrano ulteriori aperture a problematiche contemporanee e alla missione della Chiesa: sembra essere la costituzione conciliare Gaudium et spes la fonte ispirativa della pastorale sociale e della cultura della giustizia e della pace. Gli orizzonti del dialogo tra le Chiese e le comunità cristiane, e quello con le religioni, vengono attentamente considerati, come i problemi posti alla comunicazione dagli sviluppi della informatica e le opportunità che essa offre alla evangelizzazione: sono questi i gruppi di interesse che interagiscono insieme con gli altri nella formazione al ministero presbiterale[73].

Frattanto la costituzione dell’Istituto Teologico Pugliese collegato con la Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale di Napoli e la sua aggregazione ad essa (1992) e infine l’Istituzione della Facoltà Teologica Pugliese (2005) offrono una scuola di alta formazione teologica e un laboratorio di ricerca, che trovano espressione nella Rivista di scienze religiose e nella collana dei suoi Quaderni. Per altro verso questi sviluppi accademici chiedono ulteriori impegni di studio ai giovani di diversa provenienza scolastica e culturale e, al tempo stesso, sollecitano un più preciso ordinamento alla formazione spirituale e pastorale, senza dire degli intralci che i menzionati sviluppi accademici possono rappresentare alla completa formazione prevista con il detto “VI anno”. Ma vi sono pure altre ragioni del mancato decollo di questa opportunità.

Durante il rettorato di Giovanni Ricchiuti, dal febbraio 1994 all’ottobre 2005, ha preso finalmente avvio l’anno propedeutico al corso di formazione: esso rappresenta un’evoluzione utile per il discernimento delle premesse alla formazione vera e propria al ministero, presa dopo un decennio di iniziative varie e di riflessione dei vescovi pugliesi.

In quel progetto del 1988 e rimasto valido nelle sue linee generali e negli obiettivi, emergeva l’istanza della formazione permanente degli educatori, una esigenza divenuta crescente, considerata la situazione dei giovani che in Italia il Signore chiama al suo servizio presbiterale, alla luce di quanto la Conferenza Episcopale Italiana ha proposto nel 2006 con la terza edizione degli Orientamenti e norme per i seminari, per la formazione dei presbiteri nella Chiesa Italiana.

Sono le prese di coscienza che aveva maturato, insieme con altre suddette, l’ultimo rettore Antonio Ladisa, tragicamente scomparso il 31 marzo 2009, nel cuore dell’anno centenario del seminario[74].

Queste rapide considerazioni sull’evoluzione della formazione sacerdotale dal 1908 ad oggi e sulle sue incidenze nella evoluzione storica del seminario regionale molfettese hanno certamente bisogno di ulteriori approfondimenti e di utili riscontri. Tanto sarà possibile quando tutta la documentazione archivistica sarà disponibile. Quando ciò sarà compiuto, migiore sarà la conoscenza del cattolicesimo pugliese e meridionale del novecento, dalla prospettiva della storia de clero pugliese.

Allora si potrà verificare la recezione degli ideali intravisti e desiderati come pure l’attuazione dei progetti e i risultati degli impegni. Il scolo di attività de Pontificio Seminario maggiore Pugliese fa parte di una storia più grande e il suo ruolo nella storia della Chiesa di questa regione non è affatto secondario. Come in ogni processo storico, la vicenda degli uomini può intralciare la presenza efficace di Dio, ma non azzerarne i piani di amore.

È questa una convinzione dei cristiani. Al tempo stesso diventa un auspicio.

* Preside della Facoltà Teologica Pugliese, professore ordinario di Storia della Chiesa nell’Istituto Teologico Pugliese “Regina Apuliae” di Molfetta.

[1] La storiografia sul clero in Italia, la sua condizione e la sua formazione, nell’Ottocento e nel Novecento, va crescendo. Cf. G. BATTELLI, La recente storiografia sulla Chiesa in Italia nell’età contemporanea, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia» 61, 2007, 463-500. In questo contributo si è tenuto conto soltanto di alcuni lavori.

Di carattere generale è di particolare importanza consideriamo gli scritti di M. GUASCO, La formazione del clero: i seminari, in «Storia d’Italia. Annali» 9, La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’età contemporanea, a cura di G. CHITTOLINI – G. MICCOLI, Torino 1986, 629-715; Id., Seminari e clero nel ‘900, Cinisello Balsamo 1990; Id., Per una storia della formazione del clero: problemi e prospettive, in Chiesa, chierici, sacerdoti. Clero e seminari in Italia tra XVI e XX secolo, Siena, Archivio di stato, seminario arcivescovile, 21 maggio 1999, a cura di M. SANGALLI, Roma 2000. Inoltre, G. IVAN, La riforma della Chiesa per la restaurazione cristiana della società. Le visite apostoliche delle diocesi e dei seminari d’Italia promosse durante il pontificato di Pio X (1903-1914), Roma 1998; M. CASELLA, La crisi e la riforma dei seminari nelle relazioni dei visitatori apostolici. Prima fase: 195-1908, in Pio X e il suo tempo, a cura di G. LA BELLA, Bologna 2003, 333-412.

Sulla vicenda storica del seminario regionale di Molfetta si veda Il Cinquantesimo del Pontificio Seminario Regionale Pugliese. Documenti e ricostruzione storica, a cura di R. DE SIMONE, Molfetta 1961; F. SPORTELLI, Cultura ecclesiastica ed episcopato pugliese (1892-1908), in “Archivio Storico Pugliese”, 39, 1986, 419-445; Id., Rilancio culturale del clero pugliese agli inizi del Novecento, in “Rivista di scienze religiose” 1, 1987, 160-186; Id., Modello culturale ecclesiastico e stabilità del Seminario Regionale Pugliese (1915-1926), ivi, 9, 1995, 307-347; Id., Il Pontificio Seminario Pugliese dagli anni Trenta alla ricostruzione postbellica, in “Ambrogio Grittani e la sua opera nella società e nella Chiesa del suo tempo”, a cura di S. PALESE, Roma – Monopoli 1999, 181-210; Id., Le visite apostoliche di Raffaele Carlo Rossi al Pontificio Seminario Regionale Pugliese (Lecce, 1911 – Molfetta, 1919), in “Rivista di scienze religiose” 15, 2001, 259-299 (I); 16, 2002, 59-100 (II); M. CASELLA, Il Seminario Regionale Pugliese (1908-1915), in “Itinerari di ricerca storica”, 16, 2002, 185-309.

Sui rettori del seminario cf. P. PERRONE, Raffaello Delle Nocche, vescovo di Tricarico, fondatore delle Suore Discepole di Gesù Eucaristico, Cinisello Balsamo 1990; Id., In memoria di Giovanni Nogara, Bari 1931; S. PALESE – F. SPORTELLI, Tre rettori del Pontificio Seminario Regionale Pugliese: Corrado Ursi, Giuseppe Carata, Mario Miglietta, tra seconda guerra mondiale e postconcilio (1940-1979), in “Rivista di scienze religiose” 17, 2003, 329-340.

Sul contesto regionale, Vescovi e regione in cento anni di storia (1892-1992). Raccolta di testi della Conferenza Episcopale Pugliese, a cura di S. PALESE e F. SPORTELLI, Galatina 1994; S. PALESE, L’Episcopato Pugliese dal Concilio di Trento al Concilio Vaticano II, in “Cronotassi, iconografia ed araldica dell’ Episcopato Pugliese”, a cura di C. DELL’AQUILA, Bari 1984, 51-74; Id., Storia delle Chiese di Puglia. Introduzione, in “Storia delle Chiese di Puglia”, a cura di S. PALESE e L. M. DE PALMA, Bari 2008, 15-50.

Per i papi del secolo, ad vocem, “Enciclopedia dei Papi”, Istituto Enciclopedia Italiana, vol. 3, Firenze 2000: M. GUASCO,Pio X(593-608), G. DE ROSA, Benedetto XV (608-617), F. MARGIOTTA BROGLIO, Pio XI (617-632), F. TANIELLO, Pio XII(632-645), Id., Giovanni XXIII (646-657), G. M. VIAN, Paolo VI (657-674), M. BRAY, Giovanni Paolo II (681-697).   

[2] Il testo nella versione italiana si trova ora in Il Cinquantesimo,  21-23.

[3] Il testo è tratto da SACRA CONGREGATIO PRO ISTITUTIONE CATHOLICA, Enchiridion Clericorum. Documenta Ecclesiae futuris sacerdotibus formandis, Typis Pliglottis Vaticanis MDCCCCXXV, n. 1228. In seguito l’Enchiridion sarà indicato semplicemente En. Cl..

[4] Ivi, n. 1168.

[5] La notificazione è edita in Vescovi e regione, 57-59. Tra i sottoscrittori manca Gaetano Muller, vescovo di Gallipoli. Erano vacanti le diocesi di Taranto e di Nardò.Sui vescovi firmatari, ad vocem, Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, 3, Le figure rappresentative, Torino 1984.

[6] Seguo il testo in versione italiana dato nell’Enchiridion delle Encicliche, 4, Bologna 1998, nn. 713-739. Pio X, Benedetto XV, 1903-1922, edizione bilingue. Questo Enchiridion sarà indicato En. En..

[7] Cf. ivi, nn. 715-719.

[8] Cf. ivi, nn.720-722.

[9] Ivi, nn. 723-732.

[10] Ivi, n. 725.

[11] Cf. ivi, n. 735.

[12] L’enciclica fu pubblicata in latino anche in “La Civiltà Cattolica” 59, 1908, III, 513-533 e in Monitor Ecclesiastico 20, (10), 1908, 261-277.

Su di essa fu scritto Il trionfo di Cristo giubileo del papa, in “La Civiltà Cattolica” 59, 1908, IV, 387-39.

[13] Ivi.

[14] En. Cl., nn. 1301-1317.

[15] Ivi, nn.1323-1325.

[16] Ivi, n. 1519.

[17] Ivi, n. 1708. All’art. 3.

[18] Ivi, nn. 1710-1712.

[19] Ivi, nn. 1985-2018.

[20] Ivi, nn. 1761-1881.

[21] En. En. 5, Pio XI 1922-1939, edizione bilingue, Bologna 1995, n. 996-1087.

[22] Lettera apostolica Officiorum omium al card. Gaetano Bisleti, prefetto della Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi, 1 agosto 1922, ivi, nn. 1591-1599.

[23] Pio XI istituì i seminari regionali di Fano (1923), Cagliari (1927), Salerno, Benevento, Reggio Calabria, Viterbo (1933). Essi facevano seguito a quelli di Napoli e Catanzaro (1910), Chieti ed Assisi (1912), Bologna (1915).

[24] En. En. 5, n. 1010.

[25] Ivi, n. 1016.

[26] Ivi, n. 1016.

[27] Cf. ivi, nn. 1018-1019.

[28] Cf. nn. 1028-1030.

[29] Cf. n. 1032.

[30] Cf. ivi, n. 1038.

[31] Cf. ivi, n.1039.

[32] Ivi, n. 1058.

[33] Ivi, n. 1066.

[34] Ivi, n. 1067, pp. 1021-1023.

[35] Cf .ivi, n. 1073.

[36] Ivi, n. 1075.

[37] Ivi, n. 1076.

[38] Ivi, n. 1084.

[39] La notificazione è edita in Vescovi e regione, 273-277.

[40] Cf.il mio Dall’amore per la patria alla difesa della civiltà cristiana. La Conferenza episcopale pugliese negli anni 1940-48, in «Rivista di scienze religiose» 10, 1996, 253-294.

[41] Esortazione apostolica Menti nostrae, 23 settembre 1950 in En. En. 6, Pio XII 1939-1958, edizione bilingue, Bologna 1995, nn. 1800-1926.

[42] Pio XII, Lettera enciclica Mistici corporis, 29 giugno 1943, En. En. 6, n.168.

[43] Id. Lettera enciclica Mediator Dei, 20 novembre 1947, ivi, nn. 468-469.

[44] Menti nostrae, ivi, nn. 1810-1852.

[45] Ivi, n. 1811.

[46] Ivi, nn. 1852-1867.

[47] Ivi, nn. 1868-1907.

[48] Ivi, n. 1876.

[49] Cf. ivi, nn. 1908-1923.

[50] Cf. ivi, n. 1915.

[51] Ivi, n. 1917.

[52] Miles Christi 29, 1950, n.13 del 15 ottobre.

[53] Cfr. O. CONFESSARE, Don Ambrogio Grittani. Spiritualità e anima sociale di un prete pugliese, Rubbettino, Soveria 1997. Degli scritti di A. Grittani si sta facendo una edizione, recentemente sono state edite Lettere agli “arditi” del Seminario Regionale di Molfetta 1946-1948, a cura di SALVATORE PALESE, Vivere In, Roma-Monopoli, 2009.

[54] C. URSI, Sacerdote di fronte al mondo.

[55] Ivi.

[56] Sul “Miles Christi” degli anni 1958-59, don Raffaele de Simone, docente di storia ecclesiastica nel seminario, pubblicò una serie di Appunti sulla storia del Seminario Regionale pugliese che furono ripresentati con gli opportuni ricordi nel volume Il Cinquantesimo,  136-239. Una relazione sulle celebrazioni si trova nel citato volume Il Cinquantesimo, 127-134. Dieci testi di varie autorità, sono in sezione “Documenti”, ivi, 54-134.

[57] PIO XII, Discorso al Seminario Regionale Pugliese preparato per l’udienza fissata il 18 ottobre 1958, in Il Cinquantesimo, 72-88, ripreso dagli “Acta Apostolicae Sedis” 50, 1958, I, 961-971.

[58] I testi di p. Giuseppe de Giovanni s.j., di papa Giovanni XXIII, del card. Giuseppe Pizzardo, di mons. Enrico Nicodemo, arcivescovo di bari e presidente della Conferenza Episcopale Pugliese, di mons. Corrado Ursi, vescovo di Nardò, di mons. Achille Salvucci, vescovo di Molfetta, del rettore mons. Giuseppe Carata, del vicerettore don Mario Miglietta, sono editi in Il Cinquantesimo, 54-134.

[59] CONCILIO VATICANO II, Costituzione dommatica Lumen gentium, n. 28, in Enchiridion Vaticanum 1. Documenti del Concilio Vaticano II. Testo ufficiale traduzione italiana, 10, EDB, Bologna 1976, nn. 354-358.

[60] Presbiterorum ordinis, Proemio, EV 1, n. 1243.

[61] Ivi, n. 19, EV 1, n. 1310.

[62] Optatam totius, n.1, EV 1/ 772

[63] Cf ivi, n. 4, EV 1/780.

[64] Ivi.

[65] Ivi, n. 7, EV 1/ 786-787.

[66] Ivi, n.8, EV 1/788.

[67] Il testo dello Statuto viene pubblicato per la prima volta nell’Annuario del Pontificio Seminario Regionale Pugliese

[68] Su questi passaggi istituzionali cf. Vescovi e regione, XLV-XLVII.

[69] Le notizie sono date al completo, in FACOLTA’ TEOLOGICA PUGLIESE, Annuario generale 2005-2006, Bari 2006, 11-14.

[70] Si rinvia a CONFERENZA EPISCOPALE PUGLIESE, La formazione dei presbiteri nella Chiesa Italiana. Orientamenti e norme per i seminari (terza edizione), Libreria Editrice Vaticana 2007. Sono indicate le dizioni precedenti (p. 13) e vi sono riferimenti ai documenti della Congregazione dell’educazione cattolica di quegli anni (p. 22).

[71] PONTIFICIO SEMINARIO TEOLOGICO PUGLIESE “PIO XI” Molfetta, Ad immagine di Cristo buon pastores. Documenti formativi orientamenti e itinerari per il presbiterato, a cura di VITO ANGIULI e PIO ZUPPA, Roma – Trani 1989.

[72] Lettera ai seminaristi del Regionale 21 gennaio 1990 (A. BELLO, Articoli, corrispondenza, lettere, notificazioni, Molfetta 2003, 198).

[73] Di questo clima di apertura al mondo contemporaneo e di attenzione ai movimenti del mondo cattolico è l’avvio, nel 1999, del periodico semestrale dal titolo In dialogo.

[74] Su di lui si veda l’inserto del periodico semestrale In dialogo 11, 2009.

[41].

factis in exemplum excellere.

[3]