L’evangelista Marco non descrive la risurrezione, né le apparizioni del Risorto: l’unica immagine che il lettore ha nel suo bagaglio per sopperire a questa mancanza è quella della trasfigurazione. Quindi possiamo individuare la veste bianca come tratto comune con il Gesù risorto: il giovane porta un segno visibile di ciò che proclama. La presenza del giovane non è immediatamente rassicurante per i protagonisti della scena, infatti le donne si spaventano.
Nella liturgia, la lettura del vangelo termina con il versetto 7 che, tuttavia, non è l’ultimo del vangelo. Manca ancora 16,8: «Uscite, fuggirono via dal sepolcro; erano infatti piene di tremore e stupore. E non dissero niente a nessuno; infatti erano impaurite». Nessun finale tranquillizzante! La suspense viene riattivata proprio laddove ci attenderemmo una risoluzione. Indubbiamente questo finale è troppo spiazzante. Perché fuggire, temere, tacere, proprio ora? Il sepolcro, che prima ha avuto un valore centripeto (le donne vi si recano), deve diventare alla fine un polo centrifugo (le donne devono andare): è lo stesso giovane che gliel’ha comandato. La portata dell’annuncio, la risurrezione di Gesù, non è di facile assimilazione.
Comprendere la risurrezione significa pensare secondo Dio e non secondo gli uomini: riconoscere nella pietra scartata, la pietra angolare. La reticenza del finale è un forte appello rivolto a noi, al nostro personale impegno nel cercare Gesù. Desidero concludere questo pensiero, con dei versi di Sabino Palumbieri, affinché possiamo ricordarci che ora è Pasqua!
Andate a dire che la gioia ha un volto.
Proprio quello sfigurato dalla morte.
Proprio quello trasfigurato nella Pasqua.
Oggi, proprio ora, qui andate a dire.
Andate a dire.
Ed è subito pace.
Perché è subito Pasqua.
(Sabino Palumbieri, Via Paschalis, Elledici, 2000, pp. 28-29).
Salvatore Scaringella, IV anno
Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie
Mc 16,1-7
Siamo giunti alla Pasqua dopo aver seguito Gesù nei suoi ultimi giorni di vita. Domenica scorsa lo abbiamo accolto con i rami di ulivo, mentre entrava in Gerusalemme. L’abbiamo seguito negli ultimi tre giorni: prima nel cenacolo, poi nell’orto degli Ulivi (quando la tristezza e l’angoscia gli opprimevano il cuore) e, il giorno dopo, lo troviamo in croce, solo e nudo. Dopo questi eventi, possiamo davvero attestare che Gesù ha dato tutto sé stesso per la nostra salvezza: è morto, donando la vita.
Il vangelo di questa notte, nel secondo versetto, presenta ben quattro coordinate temporali precise: «Al mattino, molto presto, nel primo giorno della settimana, […] mentre sorgeva il sole…». Il cadenzare o sottolineare tempi non è privo di significato nel vangelo di Marco che, in genere, non abbonda di riferimenti di questo genere. Le donne che si recano al sepolcro, sono le stesse che troviamo in Mc 14,40, dove si racconta che i piedi di Gesù vengono unti con un olio profumato di nardo genuino, molto costoso. Gesù aveva sottolineato il valore del gesto, compiuto prima degli ultimi fatti di Gerusalemme. Coloro che si preoccupano dei doveri sepolcrali verso Gesù e comprano aromi per ungerlo sembrano non ricordarsi di questo evento o semplicemente non l’hanno compreso. La loro preoccupazione resta un’altra: la pietra sull’ingresso del sepolcro. Subito, l’ostacolo appare rimosso. Entrano nel sepolcro e vedono un personaggio caratterizzato da tre tratti: l’età giovane, la posizione (seduto sulla destra) e l’abbigliamento (vestito d’una veste bianca). È proprio quest’ultimo particolare che lo accomuna a Gesù, ora assente dal racconto. Solo Marco ha sottolineato il candore delle vesti di Gesù alla trasfigurazione (cfr. Mc 9,3), che prefigura la risurrezione.
L’evangelista Marco non descrive la risurrezione, né le apparizioni del Risorto: l’unica immagine che il lettore ha nel suo bagaglio per sopperire a questa mancanza è quella della trasfigurazione. Quindi possiamo individuare la veste bianca come tratto comune con il Gesù risorto: il giovane porta un segno visibile di ciò che proclama. La presenza del giovane non è immediatamente rassicurante per i protagonisti della scena, infatti le donne si spaventano.
Nella liturgia, la lettura del vangelo termina con il versetto 7 che, tuttavia, non è l’ultimo del vangelo. Manca ancora 16,8: «Uscite, fuggirono via dal sepolcro; erano infatti piene di tremore e stupore. E non dissero niente a nessuno; infatti erano impaurite». Nessun finale tranquillizzante! La suspense viene riattivata proprio laddove ci attenderemmo una risoluzione. Indubbiamente questo finale è troppo spiazzante. Perché fuggire, temere, tacere, proprio ora? Il sepolcro, che prima ha avuto un valore centripeto (le donne vi si recano), deve diventare alla fine un polo centrifugo (le donne devono andare): è lo stesso giovane che gliel’ha comandato. La portata dell’annuncio, la risurrezione di Gesù, non è di facile assimilazione.
Comprendere la risurrezione significa pensare secondo Dio e non secondo gli uomini: riconoscere nella pietra scartata, la pietra angolare. La reticenza del finale è un forte appello rivolto a noi, al nostro personale impegno nel cercare Gesù. Desidero concludere questo pensiero, con dei versi di Sabino Palumbieri, affinché possiamo ricordarci che ora è Pasqua!
Andate a dire che la gioia ha un volto.
Proprio quello sfigurato dalla morte.
Proprio quello trasfigurato nella Pasqua.
Oggi, proprio ora, qui andate a dire.
Andate a dire.
Ed è subito pace.
Perché è subito Pasqua.
(Sabino Palumbieri, Via Paschalis, Elledici, 2000, pp. 28-29).
Salvatore Scaringella, IV anno
Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie
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