Accogliere la novità per camminare da discepoli
Mentre siamo ancora pervasi dalla gioia del Tempo di Natale segnato dalla solennità dell’Epifania, prima manifestazione del Signore, e concluso dalla Festa del Battesimo di Gesù, seconda manifestazione al mondo, il Vangelo della II Domenica del Tempo Ordinario ci presenta la terza manifestazione del Signore.
Gesù nell’episodio delle Nozze di Cana si rivela come colui che pone fine all’economia antica, rinnovandola nella sua persona. Proprio questa sezione del Vangelo di Giovanni è sotto il segno della novità. Gesù si rivela nel contesto di un banchetto di nozze come lo sposo messianico, messianicità nella quale è contenuta l’idea di un cambiamento: c’è qualcosa di vecchio, l’acqua, che deve venir meno per lasciar posto a qualcosa di nuovo, il vino.
Novità che già pregustiamo nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia. Contrariamente ad altri testi profetici nei quali si parla di una nuzialità tradita e poi riconciliata, lo sposo presentato in questo brano è un giovane che si congiunge per la prima volta con una vergine. Questo sposo è proprio il Signore che vuole congiungersi al suo popolo nella forza di un amore capace di novità inesauribile e di ringiovanimento costante. Un amore quindi sorgivo, nascente, quasi primaverile.
E come la primavera fa sbocciare le primizie, così il «canto nuovo» (v. 1) del salmista si eleva a Dio da «tutta la terra» (v.1) in una lode cosmica che comporta un coinvolgimento così forte da parte dei credenti, che gli stessi, insolitamente, desiderano comunicare agli altri popoli le opere del Signore. Generalmente, infatti, la volontà di raggiungere tutte le genti è frutto dell’iniziativa divina, qui invece è la comunità israelita a prendere le mosse per evangelizzare tutti.
Siamo anche noi chiamati a questo cammino di evangelizzazione, cammino che presuppone sicuramente una coscienza nella fede. È Gesù stesso che ci conduce alla fede. Il miracolo avvenuto a Cana, infatti, non è «l’inizio dei segni» (v.5) in quanto semplicemente il primo in senso cronologico, ma il modello di tutti. Il gesto di Cana è un segno che nel suo simbolismo racchiude il significato di tutti gli altri con un duplice passaggio: «egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (v.11). La costruzione grammaticale dell’ultima frase denota che la fede è uno slancio, un atteggiamento dinamico. Non si crede in una cosa o in una dottrina, ma in una persona. Discepolo è chi si fida di Gesù, si abbandona a lui e si lascia condurre.
Da questo cammino non è esente Maria, che anche qui diviene modello di discepolato. Le sue parole «non hanno più vino» (v.3) esprimono la speranza del miracolo, che Gesù però all’inizio sembra quasi spegnere totalmente, perché intende far compiere, a Maria prima e a noi dopo, il passaggio dal Messia dei miracoli al Messia della croce. Questo passaggio diventerà più esplicito ai piedi della croce, quando Maria sarà veramente figura perfetta del discepolo che ha percorso fino in fondo il cammino della fede, sia perché sa vedere nel Crocifisso il Figlio di Dio, sia perché ne condivide il dolore. Per essere discepoli infatti occorre condividere la passione di Cristo e degli uomini, ma non basta solo questo. Occorre compiere un ultimo passaggio: riconoscere il Figlio negli uomini, amandolo negli uomini, condividere la sua Croce condividendo il dolore del mondo.
Quest’ultimo passo è a volte il più difficile, perché ci porta a spostare l’amore e le attenzioni per Cristo verso gli altri, verso tutti quelli che incontriamo nel nostro cammino.
Ci aiuti quella novità portata nel mondo da Cristo stesso, perché non solo l’acqua può essere tramutata in vino, ma anche noi possiamo divenire nuovi, essere trasformati. E se posso farlo io, può farlo anche l’altro. Ecco allora cosa ci deve spingere: credere che il cambiamento che sta avvenendo dentro di me possa avvenire anche nell’altro che ho di fronte. In un cammino costante di rinnovamento. Non fatto in solitudine, ma insieme.
Davide Destino, IV Anno
Accogliere la novità per camminare da discepoli
Mentre siamo ancora pervasi dalla gioia del Tempo di Natale segnato dalla solennità dell’Epifania, prima manifestazione del Signore, e concluso dalla Festa del Battesimo di Gesù, seconda manifestazione al mondo, il Vangelo della II Domenica del Tempo Ordinario ci presenta la terza manifestazione del Signore.
Gesù nell’episodio delle Nozze di Cana si rivela come colui che pone fine all’economia antica, rinnovandola nella sua persona. Proprio questa sezione del Vangelo di Giovanni è sotto il segno della novità. Gesù si rivela nel contesto di un banchetto di nozze come lo sposo messianico, messianicità nella quale è contenuta l’idea di un cambiamento: c’è qualcosa di vecchio, l’acqua, che deve venir meno per lasciar posto a qualcosa di nuovo, il vino.
Novità che già pregustiamo nella prima lettura, tratta dal libro del profeta Isaia. Contrariamente ad altri testi profetici nei quali si parla di una nuzialità tradita e poi riconciliata, lo sposo presentato in questo brano è un giovane che si congiunge per la prima volta con una vergine. Questo sposo è proprio il Signore che vuole congiungersi al suo popolo nella forza di un amore capace di novità inesauribile e di ringiovanimento costante. Un amore quindi sorgivo, nascente, quasi primaverile.
E come la primavera fa sbocciare le primizie, così il «canto nuovo» (v. 1) del salmista si eleva a Dio da «tutta la terra» (v.1) in una lode cosmica che comporta un coinvolgimento così forte da parte dei credenti, che gli stessi, insolitamente, desiderano comunicare agli altri popoli le opere del Signore. Generalmente, infatti, la volontà di raggiungere tutte le genti è frutto dell’iniziativa divina, qui invece è la comunità israelita a prendere le mosse per evangelizzare tutti.
Siamo anche noi chiamati a questo cammino di evangelizzazione, cammino che presuppone sicuramente una coscienza nella fede. È Gesù stesso che ci conduce alla fede. Il miracolo avvenuto a Cana, infatti, non è «l’inizio dei segni» (v.5) in quanto semplicemente il primo in senso cronologico, ma il modello di tutti. Il gesto di Cana è un segno che nel suo simbolismo racchiude il significato di tutti gli altri con un duplice passaggio: «egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui» (v.11). La costruzione grammaticale dell’ultima frase denota che la fede è uno slancio, un atteggiamento dinamico. Non si crede in una cosa o in una dottrina, ma in una persona. Discepolo è chi si fida di Gesù, si abbandona a lui e si lascia condurre.
Da questo cammino non è esente Maria, che anche qui diviene modello di discepolato. Le sue parole «non hanno più vino» (v.3) esprimono la speranza del miracolo, che Gesù però all’inizio sembra quasi spegnere totalmente, perché intende far compiere, a Maria prima e a noi dopo, il passaggio dal Messia dei miracoli al Messia della croce. Questo passaggio diventerà più esplicito ai piedi della croce, quando Maria sarà veramente figura perfetta del discepolo che ha percorso fino in fondo il cammino della fede, sia perché sa vedere nel Crocifisso il Figlio di Dio, sia perché ne condivide il dolore. Per essere discepoli infatti occorre condividere la passione di Cristo e degli uomini, ma non basta solo questo. Occorre compiere un ultimo passaggio: riconoscere il Figlio negli uomini, amandolo negli uomini, condividere la sua Croce condividendo il dolore del mondo.
Quest’ultimo passo è a volte il più difficile, perché ci porta a spostare l’amore e le attenzioni per Cristo verso gli altri, verso tutti quelli che incontriamo nel nostro cammino.
Ci aiuti quella novità portata nel mondo da Cristo stesso, perché non solo l’acqua può essere tramutata in vino, ma anche noi possiamo divenire nuovi, essere trasformati. E se posso farlo io, può farlo anche l’altro. Ecco allora cosa ci deve spingere: credere che il cambiamento che sta avvenendo dentro di me possa avvenire anche nell’altro che ho di fronte. In un cammino costante di rinnovamento. Non fatto in solitudine, ma insieme.
Davide Destino, IV Anno
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