Con la domenica delle Palme entriamo in un tempo particolare dell’itinerario quaresimale: la Settimana Santa, che ci introduce nella celebrazione del mistero di passione, morte e risurrezione del Signore, il centro dell’annuncio della fede cristiana. L’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme è narrato da tutti e quattro gli evangelisti, e quest’anno la liturgia ci propone il racconto Luca (Lc 19,28-40). L’intento dell’evangelista è quello di annunciare Gesù come il Cristo, il Messia atteso da tutto Israele ed annunciato dai profeti. Infatti questa pericope presenta espliciti riferimenti a brani dell’AT, proprio a volerne dichiarare il compimento e il superamento: Gesù di Nazareth è il compimento della rivelazione di Dio e della speranza di Israele, venuto ad instaurare il nuovo regno di giustizia e di pace. Gesù scende a Gerusalemme dal Monte degli Ulivi, così come profetizzato da Zaccaria (Zc 14,4), cavalcando un “puledro figlio d’asina” (Zc 9,9).
Ecco la prima grande verità della nostra fede: egli, che è la nostra meta, si è fatto strada; Gesù è il Cristo mandato dal Padre a donare la salvezza ad ogni uomo, è lui che per primo ci chiama a sé e ci ama personalmente (Gv 15,16). Questa domenica ci introduce nel cuore della nostra fede che è riconoscere la presenza nella nostra vita di Cristo che si rivela come il Risorto, cioè ci raggiunge nel buio del nostro peccato e della nostra morte, ci prende per i polsi e ci ridà vita e dignità. Gesù viene accolto come un re dalla folla di Gerusalemme che stende i propri mantelli sulla via, proprio secondo il cerimoniale dell’incoronazione regale riportato in 2Re 9,13. Colpisce molto questa entrata trionfale di Gesù, con la folla che lo osanna, cioè acclama il suo salvatore.
È un contrasto forte con l’abbandono e la solitudine a cui Gesù sarà lasciato solo pochi giorni dopo. Gesù è re, ma non secondo la logica di questo mondo: i re ed i guerrieri montano sui cavalli con gloria e potenza e prendendo il dominio su tutto con la forza, lui invece viene su un asino che è la cavalcatura dei poveri e delle persone pacifiche e la sua gloria è l’umiltà, la sua potenza è l’amore, il suo dominio è il servizio e la sua regalità è la solidarietà con tutti gli uomini e le donne sofferenti e peccatori. Gli abitanti di Gerusalemme non avevano compreso il suo messaggio e per questo, delusi, lo rinnegheranno.
Cavalcare un asino è descritto nel libro dei Giudici come segno di pace, tranquillità ed autorevolezza (Gdc 5,10; 10,4; 12,14), immagine del Messia di pace, del servo sofferente, che però il popolo aveva tralasciato preferendogli un Messia violento e potente che, come il re Davide, restaurasse il defunto regno di Israele. Questo animale che porta il peso di altri è l’immagine che meglio rappresenta Gesù che si è caricato dei nostri peccati, è l’immagine del servizio e Gesù è venuto nel mondo per servire e non per essere servito, per liberare e non per condannare. Il puledro, figura del servizio e dell’amore, è l’unica cosa di cui Gesù ha bisogno per mostrarsi come il Signore, ed è ciò a cui ci chiama: amarci gli uni gli altri perché lui per primo ci ha amati.
Fabio Vecchi IV anno
Con la domenica delle Palme entriamo in un tempo particolare dell’itinerario quaresimale: la Settimana Santa, che ci introduce nella celebrazione del mistero di passione, morte e risurrezione del Signore, il centro dell’annuncio della fede cristiana. L’ingresso messianico di Gesù in Gerusalemme è narrato da tutti e quattro gli evangelisti, e quest’anno la liturgia ci propone il racconto Luca (Lc 19,28-40). L’intento dell’evangelista è quello di annunciare Gesù come il Cristo, il Messia atteso da tutto Israele ed annunciato dai profeti. Infatti questa pericope presenta espliciti riferimenti a brani dell’AT, proprio a volerne dichiarare il compimento e il superamento: Gesù di Nazareth è il compimento della rivelazione di Dio e della speranza di Israele, venuto ad instaurare il nuovo regno di giustizia e di pace. Gesù scende a Gerusalemme dal Monte degli Ulivi, così come profetizzato da Zaccaria (Zc 14,4), cavalcando un “puledro figlio d’asina” (Zc 9,9).
Ecco la prima grande verità della nostra fede: egli, che è la nostra meta, si è fatto strada; Gesù è il Cristo mandato dal Padre a donare la salvezza ad ogni uomo, è lui che per primo ci chiama a sé e ci ama personalmente (Gv 15,16). Questa domenica ci introduce nel cuore della nostra fede che è riconoscere la presenza nella nostra vita di Cristo che si rivela come il Risorto, cioè ci raggiunge nel buio del nostro peccato e della nostra morte, ci prende per i polsi e ci ridà vita e dignità. Gesù viene accolto come un re dalla folla di Gerusalemme che stende i propri mantelli sulla via, proprio secondo il cerimoniale dell’incoronazione regale riportato in 2Re 9,13. Colpisce molto questa entrata trionfale di Gesù, con la folla che lo osanna, cioè acclama il suo salvatore.
È un contrasto forte con l’abbandono e la solitudine a cui Gesù sarà lasciato solo pochi giorni dopo. Gesù è re, ma non secondo la logica di questo mondo: i re ed i guerrieri montano sui cavalli con gloria e potenza e prendendo il dominio su tutto con la forza, lui invece viene su un asino che è la cavalcatura dei poveri e delle persone pacifiche e la sua gloria è l’umiltà, la sua potenza è l’amore, il suo dominio è il servizio e la sua regalità è la solidarietà con tutti gli uomini e le donne sofferenti e peccatori. Gli abitanti di Gerusalemme non avevano compreso il suo messaggio e per questo, delusi, lo rinnegheranno.
Cavalcare un asino è descritto nel libro dei Giudici come segno di pace, tranquillità ed autorevolezza (Gdc 5,10; 10,4; 12,14), immagine del Messia di pace, del servo sofferente, che però il popolo aveva tralasciato preferendogli un Messia violento e potente che, come il re Davide, restaurasse il defunto regno di Israele. Questo animale che porta il peso di altri è l’immagine che meglio rappresenta Gesù che si è caricato dei nostri peccati, è l’immagine del servizio e Gesù è venuto nel mondo per servire e non per essere servito, per liberare e non per condannare. Il puledro, figura del servizio e dell’amore, è l’unica cosa di cui Gesù ha bisogno per mostrarsi come il Signore, ed è ciò a cui ci chiama: amarci gli uni gli altri perché lui per primo ci ha amati.
Fabio Vecchi IV anno
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