Amoris laetitia: un punto di svolta per la riflessione e la vita della Chiesa
Il 28 Febbraio scorso la nostra Facoltà Teologica ci ha proposto, nel solco del corso di alta formazione e di approfondimento sull’Esortazione apostolica di papa Francesco sull’amore nella famiglia, un convegno di studio dal titolo: Amoris laetitia, bilancio e prospettive. Nel convegno siamo stati onorati dalla presenza di due figure di alto spessore teologico: Mons. Erio Castellucci, vicepresidente della CEI, e il professore emerito di Teologia Morale di Münster Antonio Autiero. La domanda a cui ci si è accostati è stata: Amoris laetitia (d’ora in poi AL) costituisce un punto di svolta per la riflessione teologia e per la prassi della Chiesa?
Il tema è uno dei più delicati: il papa stesso, il 27 dicembre 2020, ha esortato tutta la Chiesa a riflettere e approfondire i contenuti del documento, per una maggiore comprensione ed adesione.
Sono tre le parole chiave che possono guidare la nostra riflessione alla luce del contesto attuale in cui la famiglia, nel vissuto e nel concetto, sembra vivere mutamenti radicali: discernere, accompagnare, integrare (cfr. AL 312). Sono tre verbi che hanno come presupposto il tenere nella giusta considerazione una caratteristica fondamentale della realtà oggi: la complessità.
La complessità, infatti, richiede in primo luogo il discernimento, che trova le sue radici in uno sforzo ermeneutico della realtà non indifferente: non possiamo considerare la realtà semplicemente come un tutto organico, con il rischio di tralasciare le particolarità e le differenze che il vissuto quotidiano ci presenta; e la riflessione teologica, chiamata sempre a rinnovarsi per poter essere a servizio del Vangelo, deve tenere nella debita considerazione tale complessità. Già in AL 2, infatti, il Santo Padre mostra come il lavoro sinodale sulla famiglia nel mondo contemporaneo, che ha preceduto la stesura del documento, abbia tenuto in considerazione come «la complessità delle tematiche proposte ci ha mostrato la necessità di continuare ad approfondire con libertà alcune questioni dottrinali, morali, spirituali e pastorali», partendo proprio da una dimensione essenziale del discernimento: l’ascolto della realtà. La categoria di discernimento ha ritrovato una nuova freschezza nel magistero di Papa Francesco: essa è il perno attorno al quale il Santo Padre, già con Evangelii Gaudium (d’ora in poi EG), ripensa ad ogni ambito ecclesiale.
In secondo luogo la complessità chiede di accompagnare: data la particolarità e la singolarità di ogni cammino di fede e di amore umano, la comunità cristiana è chiamata ad «accompagnare ciascuna e tutte le famiglie perché scoprano la via migliore per superare le difficoltà che incontrano sul loro cammino» (AL 222). L’accompagnamento non riguarda solo le famiglie che vivono «situazioni che non rispondono pienamente a quello che il Signore ci propone» (AL 6), ma riguarda tutta la pastorale familiare: accompagnare i fidanzati nel loro cammino verso l’unione matrimoniale; accompagnare gli sposi nei loro primi anni di vita matrimoniale e accompagnarli nelle situazioni di fragilità; accompagnare le coppie dopo le rotture e i divorzi. Tutto questo è ben delineato nel cap. VI dell’esortazione apostolica.
In terzo luogo la complessità chiede di integrare: si delinea non solo un cammino pastorale che coinvolge le famiglie in questione, ma un cammino di ampio respiro ecclesiale, in cui tutta la comunità è chiamata a imparare ad accogliere ed integrare le situazioni di fragilità, affinché il Vangelo possa donare la sua luce alle situazioni di sofferenza e di crisi.
A 5 anni dalla pubblicazione dell’esortazione apostolica, per , occorre porci due domande: quanto è stato realmente recepito il rinnovamento di AL dalle comunità cristiane? E come considerare AL all’interno della riflessione teologica e del magistero? A queste due domande propongono una risposta gli interventi degli ospiti della serata: alla prima domanda ha risposto Mons. Castellucci, delineando quale sia il processo di recezione nelle Conferenze Episcopali; alla seconda domanda ha risposto il prof. Autiero, mostrando come AL costituisca una svolta per la vita ecclesiale. Cercheremo qui di riprendere alcuni elementi fondamentali che sono emersi nel corso del convegno.
Sono stati parecchi gli interventi degli episcopati italiani su AL dalla data della sua pubblicazione: segno che è in atto un processo di recezione, ma non è sempre liscio. Tra dissensi e riserve, per , possiamo affermare che in Italia l’accoglienza dell’esortazione apostolica è buona e graduale.
Significativa ed esemplare, per una buona ricezione, è la lettera del Santo Padre indirizzata ai vescovi della regione pastorale di Buenos Aires nel 2016, in cui si delineano i «criteri base per l’applicazione del cap. VIII di AL», capitolo che richiede maggiore attenzione e conversione. Il papa osserva che, giunti ormai al momento di agire, occorre tenere presente alcuni punti:
Nella lettera, il Santo Padre osserva come non si debba parlare di «permessi per accedere ai sacramenti», ma di un processo di discernimento accompagnato dai pastori. Tale cammino di discernimento e di accompagnamento non ha come fine ultimo semplicemente l’accesso ai sacramenti – non è solo una riammissione sacramentale – ma ha come fine l’integrazione delle persone nella comunità ecclesiale. Ci possono essere situazioni oggettivamente «non piene»,[1] che per sono tali che se si volesse cambiare o tornare indietro, la coppia ricadrebbe in una situazione di ulteriore difficoltà. Occorre applicare il principio del bene possibile in alternativa alla possibilità di un male più grande. Inoltre il Santo Padre richiama all’attenzione l’importanza della coscienza: in ogni situazione è importante orientare le persone a fare un discernimento nella propria coscienza, che Gaudium et spes 16 (d’ora in poi GS) definisce come «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio». Questo non per fissare l’attenzione su un giudizio esterno, ma per una più profonda maturazione interiore. Inoltre, il cammino di integrazione ha una sua connotazione fortemente comunitaria: occorre accompagnare le comunità cristiane a crescere nello spirito di accoglienza.
La lettera ha avuto risonanza anche in Italia, segnando un processo di recezione che era partita già da poco tempo dopo la pubblicazione di AL. Possiamo individuare, in particolare, 4 nuclei tematici riecheggiati in Italia: gli stili, gli attori, i criteri e gli itinerari di discernimento.
Gli stili del discernimento: tre sono i passaggi importanti che caratterizzano l’esortazione.
In primo luogo occorre assumere uno sguardo capace di cogliere anche dentro una realtà matrimoniale non sacramentale elementi, sebbene a volte parziali, di bontà e di verità. Si propone un’analogia con il pensiero conciliare delineato in Lumen gentium 8 e Unitatis Redintegratio 3: come vi sono elementi di bene e di verità nelle altre confessioni cristiane che vanno assunti come punti di credito, così, nel matrimonio naturale e delle altre tradizioni culturali e religiose vi sono elementi di bene e di amore che sono riflesso del disegno divino sulla famiglia e sull’amore umano. Più che guardare a quello che manca, occorre guardare al bene presente anche nelle situazioni più complesse. Lo stile del discernimento assume così un’ottica positiva, incoraggiante, che invita ad un cammino capace di anelare alla pienezza: ci pu essere fatto se, più che vietare e condannare, lo stile sia quello di attrarre e consegnare positivamente la bellezza del vangelo.
In secondo luogo occorre un cammino di accompagnamento graduale: il discernimento deve aiutare a trovare strade possibili tenendo conto della singolarità delle situazioni. «Il discernimento – ricorda AL – deve aiutare a trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita attraverso i limiti. Credendo che tutto sia bianco o nero, a volte chiudiamo la via della grazia e della crescita e scoraggiamo percorsi di santificazione che danno gloria a Dio. Ricordiamo che un piccolo passo, in mezzo a grandi limiti umani, pu essere più gradito a Dio della vita esteriormente corretta di chi trascorre i suoi giorni senza fronteggiare importanti difficoltà. La pastorale concreta dei ministri e delle comunità non pu mancare di fare propria questa realtà» (AL 305). Occorre quindi un cammino che sappia discernere bene le singole situazioni.
In terzo luogo, il discernimento non pu esimersi dal confronto con la Parola di Dio. Essa diventa meta e forza del cammino. Occorre una visione dinamica della Parola di Dio, così come una visione dinamica di tradizione, che sappia fare i conti con la realtà, in particolare attraverso due dei quattro principi espressi già in EG: La superiorità del tempo rispetto allo spazio e la superiorità della realtà sull’idea.
Gli Attori del discernimento: il primo attore di certo è lo Spirito Santo, ma occorre anche la giusta comprensione della coscienza. Il richiamo ad AL 37 è forte: «Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. […] Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle». Il discernimento personale e di coppia avviene in ultima analisi sempre nella coscienza, il tribunale finale.
I Criteri del discernimento: Prendere atto della situazione con tutte le distinzioni possibili: separazioni, divorzi, convivenze, ecc. occorre partire sempre dalla situazione concreta. Sulla scia di Familiaris consortio e Sacramentum caritatis, AL individua almeno 14 criteri nel cap. VIII attraverso i quali illuminare la coscienza: possibilità di sanazione, riconciliazione, le responsabilità all’interno del matrimonio, la responsabilità nei confronti dei figli, la questione dei partner abbandonati, ecc.
Gli Itinerari del discernimento: gli itinerari di accompagnamento devono essere in grado di integrare in sé l’aspetto giuridico e canonico, che non pu essere pensato come processo estrinseco alla coppia. Nel motu proprio Mitis Iudex dominus Iesus, il Santo Padre riconosce proprio questo: l’accompagnamento canonico deve essere integrato nella pastorale familiare, sebbene nella storia sia emersa una separazione tra l’accompagnamento spirituale e il processo giuridico. Inoltre nell’accompagnamento spirituale e giuridico deve essere integrata la comunità, un po’ ad immagine dei percorsi penitenziali dei primi secoli, in cui tutta la comunità accompagnava le situazioni di fragilità e di peccato.
L’esortazione apostolica costituisce davvero un punto di svolta per la teologia morale? La domanda si estende ad un arco più vasto di questioni che toccano dottrina, diritto, pastorali ecc. Per rispondere, il prof. Autiero parte da quelli che sono stati gli snodi critici mossi da molti circa l’autorevolezza di AL, che hanno rivelato parecchie resistenze, spesso in forma polemica. La relazione del professore si snoda attraverso quattro nodi fondamentali: parte da questioni di teologia fondamentale, passa per alcune riflessioni antropologiche ed etiche, e arriva a delineare un quadro pastorale.
L’inizio del pontificato di papa Francesco è segnato dalla decisione immediata di indire un sinodo sulla famiglia, preceduto da un ampio movimento di consultazione della comunità credente nel suo vissuto riguardo ai temi da affrontare: già questo sconvolge coloro che non riconoscono il valore dell’esperienza come fattore significativo di verità pratiche, morali. Ma l’esperienza, anche nella riflessione teologica, ha una vera e propria valenza genetica: genera un modo di vedere, un modo di riflettere, una dottrina. Nel solco della svolta ermeneutica del XX sec. che ha coinvolto anche la teologia, l’esperienza non è semplicemente il risvolto di una elaborazione teoria in una visione semplicemente deduttiva. AL esprime, in questo, un cambio di rotta nella genesi della consapevolezza morale circa famiglia e matrimonio: c’è una volontà di porsi in ascolto del vissuto e di accompagnarne il cammino, di accostarsi alla fragilità dell’esistenza familiare e delle relazioni affettive non primariamente con un codice normativo e veritativo da difendere e far valere, ma con la consapevolezza di dover sondare la realtà al fine di comprenderne la fondatezza, la tenuta e l’efficacia. Questo tipo di riflessione risulta irritante per chi non ha familiarità con un processo induttivo nella visione etica. Sin da Aristotele, infatti, l’etica è stata concepita come scienza pratica; ma la consuetudine deduttiva, su cui largamente si basava anche la morale cattolica viene messa a dura prova da questo cambio di paradigma: dalla deduzione alla induzione. Le resistenze sono molteplici, ma riconducibili a un’unico ceppo: il valore della dottrina per la vita della Chiesa e delle persone. AL non destruttura l’impianto matrimoniale e familiare, anzi ne rassoda la struttura sulla base della lezione biblica. Il capitolo V, infatti, dà l’orizzonte di senso a tutto il discorso: il Vangelo dell’amore. L’esortazione non propone una scorciatoia pastorale con uno sconto di verità per le situazioni difficili, ma mostra osmosi all’appello evangelico con uno sguardo sulla condizione umana a cui lo stesso vangelo si rivolge, con la sua promessa di salvezza. Le resistenze derivano soprattutto dal fatto che si pensa, in continuità col Concilio Vaticano II, a un concetto di dottrina in evoluzione.
Per comprendere meglio tali difficoltà, il professore ha fatto riferimento alle riflessioni di G.A. Lindbeck:[2] osservando la storia del pensiero teologico, il concetto di dottrina ha avuto un cambiamento vistoso. Notiamo almeno 3 approcci ermeneutici al tema della dottrina:
Il primo approccio, di cui la tradizione occidentale di marca razionalista è fortemente imbevuta fino ai nostri giorni, è quello cognitivo-proposizionale. Il focus è posto sulle locuzioni proposizionali: la formulazione della dottrina è concepita come un insieme di affermazioni, frasi pregnanti, emanazioni e delucidazioni fino ad arrivare ai dogmi. In questo tipo di approccio non c’è quasi nessuna possibilità di una dottrina che nel raccontarsi si lasci «plasmare» dal vissuto.
Il secondo approccio, rilevabile nella teologia liberale post-illuminista, è di carattere esperienziale-espressivo: non più un approccio fatto di verità da conoscere attraverso le proposizioni dottrinali, ma un approccio che tocca più da vicino la vita, sulla scia della filosofia della soggettività di marca tedesca. Ma neppure questo approccio è soddisfacente nel conciliare aspetti mutabili e immutabili del religioso.
Il terzo approccio, più soddisfacente, è quello cultural-linguistico: un’esposizione della dottrina in grado di fare i conti e conciliare aspetti mutevoli e immutabili. La dottrina viene compresa come una cultura, ed è un fenomeno comunitario che, più che essere manifestazione di soggettività, modella la soggettività degli individui. Essa comprende un vocabolario di simboli discorsivi e non discorsivi: come una lingua, la dottrina è correlata a una forma di vita; e come una cultura ha dimensioni sia cognitive che comportamentali.
L’opera di Lindbeck ci aiuta a capire che le resistenze ad AL esprimono un ancoramento ad un livello di comprensione dottrinale cognitivo-proposizionale, senza tener conto che il dogma è un mezzo per arrivare a un fine – l’annuncio del Vangelo -, non è il fine in se stesso: esso è necessario, ma allo stesso tempo deve saper corrispondere al mutar del tempo e della cultura. Il primato è del Vangelo, la dottrina ne esprime la ricchezza senza tuttavia esaurirla. Essa è come un ordine di verità di secondo livello, una grammatica delle regole espressive. In AL vi è equilibrio tra primato del vangelo e conseguente dottrina formulata alla luce di esso. AL è quindi un punto di svolta per la teologia in generale, e per la teologia morale in particolare.
L’attenzione che la Chiesa ha da secoli posto al matrimonio è stata spesso declinata attraverso due fattori caratterizzanti su cui anche AL interviene: il primo fattore caratterizzante, come già richiamato in precedenza, è la lettura istituzionale e giuridica del matrimonio e della famiglia, nell’intreccio tra diritto canonico e civile: il patto matrimoniale, infatti, è da secoli regolato dal diritto. Secondo tale visione si presta più attenzione all’istituzione, ma forse poco ai soggetti implicati, in particolare, data l’attenzione predominante al fine procreativo, al soggetto femminile. L’ordine giuridico genera un quadro ideale di famiglia la cui perdita viene vista, da parte delle resistenze, come uno spostamento verso un universo bizzarro, verso una deriva antropologica. Ma AL è in realtà un itinerario di incarnazione del vissuto coniugale passato al crogiolo delle valenze antropologiche, espresse mediante intenzioni, volontà e abilità delle persone. Il primato dell’amore affianca alla tenuta dell’impianto giuridico la fonte interiore delle scelte di vita di persone capaci di aprirsi all’amore.
Il secondo fattore caratterizzante dell’esortazione è il saper trovare equilibrio di fronte a una visione di matrimonio fortemente idealizzata. Non c’è miopia, in AL, riguardo agli ideali evangelici sul matrimonio, ma allo stesso tempo non si cade in rigidi idealismi. Anche in questo, saper leggere il vissuto è una fonte formidabile per capire la famiglia e le relazioni affettive. Vi è uno sguardo disincantato, ma non appiattito, che sa considerare il peso dei fattori culturali: sensibilità, cultura di genere, comprensione dinamica della costruzione di identità e di ruoli. Emerge una consapevolezza della centralità delle persone superiore a quella delle istituzioni. Vi è un vero equilibrio tra natura e cultura, ontologia e storia, ideali e vissuto. Anche questo è un punto di svolta.
Una prima conseguenza dai due fattori delineati è una lettura in chiave etica della relazione tra centralità della persona e valore della coscienza. Nelle resistenze ad AL si nota un ricorso sovente a Veritatis splendor (d’ora in poi VS) sul tema della coscienza, con il sospetto che AL abbia travisato l’insegnamento della tradizione. Tali resistenze ribadiscono il rifiuto di VS 54 per l’«interpretazione creativa della coscienza morale», quasi assegnando alla coscienza un carattere di organo esecutivo di leggi morali. In tal modo si evince una contrapposizione netta tra il livello oggettivo della morale (la legge) e il livello soggettivo (la coscienza). Ne va, in questo modo, del primato della persona, della sua densità morale che si esprime nell’intenzionalità, nelle scelte compiute in base alla concreta situazione in cui essa è chiamato ad agire. La posizione di AL su coscienza e atti morali sorprende i critici che denunciano una rottura con la tradizione. Poco rilevante è per essi l’orizzonte ermeneutico in cui l’esortazione si colloca e che riporta la coscienza al suo centro gravitazionale di luogo dell’incontro del soggetto con Dio (cfr. GS 16). Gli atti morali vengono considerati in continuità con il profilo del soggetto che li pensa, li decide e li compie. AL propone un superamento dell’ atomizzazione degli atti morali, in uno sforzo di ricondurli sulla lunghezza d’onda di espressione fattiva della densità morale del soggetto. Anche sotto questo punto di vista AL costituisce una svolta.
Una seconda conseguenza dai due fattori delineati sopra è un bilanciato quadro pastorale che sappia cogliere l’importanza del vissuto dei soggetti e della coppia, quindi anche delle circostanze di vita. Chi è imprigionato in una morale soggiacente al primato del giuridico considera le circostanze come una sorta di periferia, una rete di coordinate di carattere marginale, che non toccano l’atto morale nella sua sostanza; eppure la storia della teologia morale ci attesta che già dal medioevo si è andata consolidando una consapevolezza di più ampio respiro: le circostanze non sono un corredo accidentale, ma sono un fattore sostanziale, perchè espressivo della condizione storica del soggetto e del carattere incarnato delle sue scelte morali. Il vissuto assume una valenza che va oltre la sua conformità con un ordine giuridico predefinito, e chiede di essere riconosciuto nella singolarità che caratterizza le storie di vita. La conversione al vissuto fa di AL un documento di originale potenza e spessore. Ci si esprime nel passaggio da un tribunale del giudizio alla cura delle relazioni nell’accompagnamento. L’importanza delle circostanze, infatti, ci fa comprendere quale possa essere il bene possibile, e quali siano i segni di amore che in qualche modo, cioè alla loro maniera, riflettono l’amore di Dio (cfr. AL 294). Non riconoscere questo punto di svolta significa trascurare la dimensione storica delle persone e delle loro scelte di vita; è un assolutizzare atomizzante delle verità oggettive degli atti morali trascurando quella verità di vita in cui coscienza e storia, soggetto e atti si incontrano e si compensano. In questa verità di vita – o verità per la vita – si esprime la vera e propria dimensione pastorale della teologia morale come AL ci porta a pensare.
Lo sguardo critico sulle resistenze ha mostrato che oltre alla materialità delle singole questioni emergenti sottoposte a critiche, molto rilevanti sono le questioni all’approccio tipologico e dell’impianto ermeneutico.
Superate tali critiche è indubbio il fatto che AL costituisca un punto di svolta per la teologia e per il magistero. Tale svolta non è da intendere come rottura col passato, ma in un senso di evoluzione e di crescita con il nostro rapportarci alla visione di matrimonio e di famiglia.
Abbiamo notato quanto sia importante, nella riflessione e nell’azione pastorale, l’attenzione al vissuto concreto della persona, quell’attenzione alla realtà che caratterizza la teologia a partire dal XX secolo, con la cosiddetta svolta ermeneutica. Ci non costituisce un mettere in discussione secoli di dottrina che mantengono sempre il loro valore, ma costituisce un tipo di lettura della storia tipicamente storico-salvifica. Guardare all’agire di Dio nel presente significa guardare alla concretezza del vissuto reale delle persone. Basti pensare alla Sacra Scrittura: all’interno di essa, nel raccontare la storia della salvezza, si pone in evidenza di quanto l’agire di Dio si manifesti nelle vicende umane, quand’anche esse non rispondano pienamente al progetto originario o ideale di Dio. Proprio da questa constatazione scaturisce l’attenzione al vissuto concreto, alla singolarità di ogni persona e di ogni coppia, sapendo individuare il bene possibile in ogni situazione, e ponendosi accanto non con atteggiamento di giudizio, ma con un atteggiamento di ascolto dal sapore tipicamente evangelico.
Per noi seminaristi, che ci prepariamo a diventare pastori di comunità tutto questo è fondamentale: è necessario, perciò , che il nostro studio, la nostra preparazione formativa e la nostra attenzione pastorale siano costantemente richiamati all’ascolto della realtà.
Gioia Valerio
V anno
valeriogioi@hotmail.it
[1] È signifcativo il fatto che il Santo Padre non utilizzi più la categoria di «situazioni irregolari» tipica di Familiaris consortio, ma parli di «circunstancias más complejas», circostanze più complesse.
[2] G.A. LINDBECK, La natura della dottrina. Religione e teologia in un’epoca postliberale, Claudiana 2004.
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