Iniziamo insieme questo cammino. Iniziare è una parola magica, misteriosa, ha la luce del mattino presto, la freschezza pungente dell’aria nuova che entra nella stanza quando la finestra si apre, la gradualità del risveglio del corpo che riprende le sue funzioni gradualmente per continuare le attività del giorno prima. Essa, forse, dice la stessa vocazione dell’essere umano: “Homo creatus est ut initium esset”, ha scritto Agostino. Noi siamo stati creati per iniziare: è il senso della nostra vita. Nel 1943, a Monaco, un gruppo di giovani studenti, guidati da un professore, scelsero coaggiosamente di fare opera di resistenza non violenta al nazismo. Si chiamarono Die Weisse Rose, “la Rosa bianca”. Tra gli altri, ne facevano parte due giovani fratelli, Hans e Sophie Schöll. Quando li arrestarono, misero in piedi un cosiddetto “processo”, senza nessun crisma di legalità vera, e quando alla ragazza urlando chiesero perché avesse fatto tutto questo, Sophie rispose: “Uno deve pur iniziare, una buona volta”. Una frase luminosa, forte, fortissima, pronunciata da una ragazza fragile che con i suoi vent’anni e il suo amore, la sua non rassegnazione, in quel momento era mille volte più forte dell’arroganza dei nazisti che la stavano processando urlandole addosso. Di quei gerarchi che pochi giorni dopo l’avrebbero uccisa. Uno deve pur iniziare, una buona volta. Forse iniziare significa questo, significa camminare con una candela in mano durante una tempesta violenta di notte, mentre tutto intorno è buio, credendo che il buio finirà, prima o poi. Iniziare significa entrare, andare dentro, in ire. È la prima cosa che desidero dire a tutti , ai Padri della Conferenza Episcopale Pugliese che ringrazio ancora per la fiducia e l’incoraggiamento e saluto con affetto filiale, e soprattutto ai giovani uomini del Seminario: io sono qui per iniziare davvero, per coinvolgermi, per entrare in questa nuova situazione, inserirmi con il cuore e la mente nella vita di questa comunità. Ma voglio iniziare con voi, voglio che il mio sia il vostro inizio, e allora iniziamo insieme, raccogliendo l’eredità di don Luigi, sempre custodito dalla nostra amicizia e dalla nostra gratitudine, e dell’équipe dei formatori, lavorando a fianco dei docenti della Facoltà Teologica, e per noi soprattutto dell’Istituto Teologico Regina Apuliæ, sentendoci in comunione di intenti con gli educatori di tutti i seminari delle nostre Diocesi. Iniziamo a camminare tutti insieme lungo la strada che ci porterà a vivere come uomini umili, disinteressati, e beati, seguendo l’ispirazione che papa Francesco ha donato alle Chiese italiane nel Convegno Ecclesiale di Firenze. E iniziamo volgendo lo sguardo alle tante vittime dell’attuale crisi economica e sociale, attanagliate dalla povertà e dalla precarietà, e a quelle della violenza che in questi giorni sta insanguinando l’Europa e sta rischiando di rinchiudere anche noi in una spirale di angoscia, nell’illusione che alla violenza si possa rispondere solo con la violenza.
>Agli alunni del Seminario, ai padri spirituali, agli educatori, all’economo, alle persone che nella vita quotidiana ci aiutano con il loro lavoro a sentirci a casa, dedico un’espressione che Bonhöeffer scrisse ai giovani con i quali a Finkenwalde, in Polonia, stava sperimentando, nei difficili anni ’30 del secolo scorso, una forma di vita comunitaria in un seminario per i futuri pastori, che i nazisti avrebbero chiuso improvvisamente nel 1937 disperdendo chi ne faceva parte. “Ma se già in un solo incontro con il fratello c’è tanta gioia, quale infinita ricchezza si deve offrire a coloro che, secondo la volontà del Signore, sono ritenuti degni di vivere giorno dopo giorno in comunione!”.
Caro don Gianni, benvenuto. Anzi, benvenuti tutti noi. Dal propedeutico fino al sesto anno. Non credere, infatti, che sia solo tu a iniziare questa nuova avventura. Oggi è il primo giorno di seminario per ciascuno di noi. Gli amici di sesto anno non si sentano defraudati del loro lungo passato tra queste mura. Era un padre della Chiesa che nel IV secolo scriveva che essere cristiani è un andare “da inizio in inizio, secondo inizi che non finiscono mai” (San Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei Cantici).
>Ogni inizio richiede prudenza e coraggio insieme, delicatezza e ardimento, leggiadria e forza: come il gesto del funambolo che pone tutto il suo atletismo, tutta la sua prestanza fisica, sull’esile discrimine di un filo sospeso. E nessuno si accorge dei suoi muscoli in tensione, nessuno nota il pulsare vigoroso del suo sangue nello sforzo dell’esercizio, perché tutto è eleganza, esperienza, misura: tutto è grazia.
Come una danza. Con questa immagine ti sei presentato a noi e ci hai subito invitato a ballare. Ballare con i nostri limiti, senza lasciare che siano loro a portarci: dobbiamo condurre noi, armonizzando il tempo al ritmo del battito del cuore di Cristo. Ma noi, caro don Gianni, non sappiamo ballare. E siamo qui per chiederti di ballare con noi, mentre Gesù ci insegna i passi.
Andiamo spesso incerti, a volte claudicanti, altre volte più sicuri, ma comunque andiamo. La nostra vocazione è l’andare. “Posui vos, ut eatis”, “vi ho posti qui, affinché andiate”: così ci accoglie e ci abbraccia il Cristo all’ingresso del nostro seminario. Non farti ingannare dalle nostre barbe o dai pochi capelli di alcuni di noi: siamo bambini che hanno bisogno della mano sicura di un padre per imparare a camminare e della sua tenerezza per rialzarsi dopo ogni caduta. Non cerchiamo maestri che ci insegnino la teoria della marcia. Non cerchiamo facchini che ci portino in spalla per risparmiarci la fatica. Vogliamo solo un padre che cammini con noi e ci aiuti a scorgere le orme fresche di Cristo sulle strade affollate della vita.
Duemila anni dopo di lui sono come il giorno di ieri che è passato: i giardini di Israele fremono ancora per il fruscìo dei suoi piedi nudi; l’erba appena battuta oscilla come onde infuocate di un soffio. Conserva sempre una falcata di vantaggio e tutto quello che possiamo dire su di lui è in ritardo.
Siamo all’inizio, eppure siamo già in ritardo, don Gianni, te n’eri accorto? Parafrasando un poeta greco, “siamo sul primo scalino di una scala troppo alta e l’andare in su non è nelle nostre forze” (Constantinos Kavafis, Il primo scalino). Per questo ti chiediamo una mano. No, non per salire. Aiutaci a scendere. Aiutaci a tenere i piedi per terra, su questa bella terra in cui il Signore ci ha piantato, e gli occhi fissi verso il cielo, verso l’orizzonte della nostra umanità. Prenditi cura di noi, prenditi cura di questo giardino: siamo germogli di felicità.
Buon cammino a tutti sulla via che porta alla scoperta di essere figli. Ma soprattutto, buon cammino da tutti noi a te, sulla via che conduce a diventare sempre più “come il Padre”. Non ti chiediamo altro che questo, don Gianni: “mostraci il Padre”. Comincia a rivelarci il suo volto nel tuo e non smettere più. Benvenuto, caro rettore. Benvenuti tutti. Che questo sia per te e per tutti noi un nuovo inizio sulle orme di Cristo Buon Pastore.
Commento Solennità dell’ Ascensione
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