«Il tema della traccia formativa di quest’anno è così complesso, così aperto a continui sviluppi, che sarebbe impensabile esaurirlo in questo breve scritto. Più importante di questo, infatti, è il percorso formativo che abbiamo vissuto insieme, perché da esso – ed è l’auspicio con cui ci consegniamo questa traccia ormai alla fine dell’anno – possano nascere ancora molte riflessioni, approfondimenti, e scelte personali e comunitarie».
Con queste parole, lo scorso martedì 17 maggio, don Gianni ha concluso la consegna alla nostra comunità di quella che qui, in Seminario, chiamiamo “traccia formativa”. Mai come quest’anno, però, non si sarebbe potuta usare un’espressione più appropriata, perché ad essere state riproposte altro non sono che le “orme” – appunto le “tracce” – lasciate lungo l’itinerario fatto. Anche lo scritto che ci ha restituito don Gianni – che verrà pubblicato integralmente su InDialogo, il nostro periodico semestrale, – è il frutto di una riflessione e di una composizione a più mani (quelle di tutti) che risente delle tappe vissute e rielaborate insieme.
Alla luce di tutto ciò, tre sembrano essere le maggiori novità della “traccia” di quest’anno. La prima consiste nel tempo della consegna: facendola a maggio e non a settembre, essa ha più il valore di una lettura sintetica di quanto vissuto comunitariamente che si apre, però, alla possibilità di ulteriori approfondimenti, soprattutto personali. La seconda novità sta nel fatto che è stata elaborata in modo sinodale, con il contributo cioè di tutti i componenti della comunità e con l’apporto anche di chi in fatto di competenze in materia ha avuto qualcosa di più da dire per poterci aiutare ad orientarci. Infine, la terza novità sta proprio nel tema affrontato (il digitale, appunto) che ha intercettato ed ha provato a fare un insight in quello che il Vaticano II avrebbe chiamato “segno dei nostri tempi”.
Proviamo ora a ripercorrere la proposta che don Gianni ci ha presentato la sera di martedì 17: lo facciamo cercando di scorgere le pietre miliari che nel nostro percorso abbiamo trovato e che diventano punti di riferimento per poterlo proseguire.
La prima pietra miliare che abbiamo incontrato è quella che ci ha dato questa indicazione: “il virtuale è reale”. I media, infatti, non sono solo strumenti ma “ambienti vitali”; ambienti nei quali ci siamo noi e ci sono gli altri; ambienti nei quali si sta onlife; ambienti nei quali siamo chiamati a relazionarci con maturità, imparando a dosare bene (come dovrebbe accadere nella vita “al di qua” dei media) parola e silenzio, vicinanza e distanza, presenza e assenza.
La direzione imboccata ci ha proiettati poi verso la seconda pietra miliare, quella dell’opportunità del racconto della “buona notizia” nella rete: senza scadere in un becero proselitismo, sul web, proprio come accade nel “reale”, varrebbe molto di più la luminosa testimonianza che attrae. E attrae perché aggancia un bisogno che ci portiamo tutti dentro: quello dell’appartenenza. Quale chance per noi cristiani di poterci presentare come tali, ricordando anzitutto con la nostra vita che, in fondo, tutti apparteniamo a Qualcuno!
E, infine, la terza pietra miliare ci ha ricondotti a quella “forza magmatica” – come diceva quella sera don Gianni – che si muove dentro di noi: quella forza fatta di impulsi, pensieri e bisogni dei quali non sempre siamo padroni e che, in internet, per dirla alla Gabbani, ci spingono “a mostrare un volto di noi che neanche noi in fondo conosciamo”! Da sempre, la tradizione spirituale cristiana ha accostato al processo di integrazione che ogni persona è chiamata a compiere l’esperienza dell’ascesi. Lo sappiamo, letteralmente “ascesi” è proprio ciò che ci allena per raggiungere un traguardo: la nostra meta, ci siamo detti, è che “la faccia mostrata sul web possa diventare sempre più corrispondente al nostro vero volto”.
Al di là di questi punti d’arrivo a cui siamo giunti a prezzo della nostra fatica, ciò che resta è la bellezza dell’esperienza vissuta che, se nella tematica ha trovato un suo appeal tutto particolare, nella modalità ci ha offerto uno stile da cui forse è difficile poter tornare indietro perché è lo stile a cui la Chiesa di oggi (e particolarmente papa Francesco) sta cercando di richiamarci: quello sinodale.
L’augurio che ci resta da fare è che il dono di quest’anno formativo continui a “nutrirci” ancora attraverso il suo contenuto ma soprattutto attraverso lo stile che abbiamo provato ad assumere.
don Michele Caputo
don Michele Caputo
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