Il Vangelo di questa domenica ci pone davanti un esempio di come Gesù non esprime solo in maniera teorica i suoi insegnamenti, ma è il primo a metterli in pratica. Inizialmente Gesù sembra volontariamente non prestare ascolto alla donna cananea in quanto non facente parte del gruppo degli Israeliti. Ci troviamo nel territorio di Tiro e Sidone, luogo che successivamente lo stesso Gesù indicherà come maggiormente ricco di fede rispetto ai territori d’Israele. L’insistenza della donna spinge Gesù a parlare con lei. Ed ecco, la donna manifesta una tale convinzione di fede che Gesù ne rimane particolarmente colpito e fa sì che la richiesta della donna venga esaudita. Questo evento per noi è fonte di un importante monito per i nostri tempi. Noi cristiani spesso ricorriamo nell’errore, soprattutto coi fratelli che professano una fede diversa dalla nostra, di considerarci migliori rispetto ad altri. Non solo, tendiamo a testimoniare il Vangelo soltanto a chi è davvero interessato, escludendo chi non fa parte del nostro “gruppo”. Ma Gesù con quel gesto ci fa comprendere come la salvezza è un fatto che coinvolge l’intera umanità, per questo noi dobbiamo sentirci fratelli e l’impegno missionario di testimonianza deve comprendere tutti coloro che si trovano in difficoltà come la donna cananea, perché tutti figli di un unico Padre. Aprirsi significa anche mettersi in gioco, ed è quella la parte più difficile, ma l’esempio di Gesù ci fa comprendere che nessuno deve sentirsi “arrivato” nella fede e nella crescita personale, e che il modo migliore per essere cristiani è considerarci tutti fratelli. Altro elemento di riflessione è sulla fede, che dobbiamo avere il coraggio di professarla apertamente e di non stancarci mai nel farlo. Focalizzandoci sulla donna cananea, notiamo come lei continua ad insistere nel chiamare Gesù anche quando nota che Lui non le presta ascolto. Lo stesso, quando Gesù considera il gruppo dei cananei come “cagnolini”, quindi come inferiori rispetto ad Israele, la donna dimostra una tenacia d’animo dovuta proprio alla sua grande fede, che Gesù non può fare a meno di notare. Ciò che salva la figlia della donna cananea è la fede di quest’ultima, l’insistenza nel chiedere pietà, il manifestare pubblicamente il suo credo. È proprio ciò che manca a noi quando spesso preferiamo non manifestare la nostra fede più di tanto, sia nelle relazioni con i fratelli, sia nella relazione con Dio. Abbiamo quella antica ma sempre nuova tendenza a invocare Dio solo quando gli avvenimenti della nostra vita sono positivi. La donna cananea ci è da esempio per non avere paura, il grido del povero Dio lo ascolta sempre e lo esaudisce. Universalità e coraggio sono le due parole chiave di questa domenica. Apriamo il cuore a Dio e agli altri, per professare meglio la nostra fede e per avere il coraggio di affrontare le prove della vita affidandoci al Padre.
Il Vangelo di questa domenica ci pone davanti un esempio di come Gesù non esprime solo in maniera teorica i suoi insegnamenti, ma è il primo a metterli in pratica. Inizialmente Gesù sembra volontariamente non prestare ascolto alla donna cananea in quanto non facente parte del gruppo degli Israeliti. Ci troviamo nel territorio di Tiro e Sidone, luogo che successivamente lo stesso Gesù indicherà come maggiormente ricco di fede rispetto ai territori d’Israele. L’insistenza della donna spinge Gesù a parlare con lei. Ed ecco, la donna manifesta una tale convinzione di fede che Gesù ne rimane particolarmente colpito e fa sì che la richiesta della donna venga esaudita. Questo evento per noi è fonte di un importante monito per i nostri tempi. Noi cristiani spesso ricorriamo nell’errore, soprattutto coi fratelli che professano una fede diversa dalla nostra, di considerarci migliori rispetto ad altri. Non solo, tendiamo a testimoniare il Vangelo soltanto a chi è davvero interessato, escludendo chi non fa parte del nostro “gruppo”. Ma Gesù con quel gesto ci fa comprendere come la salvezza è un fatto che coinvolge l’intera umanità, per questo noi dobbiamo sentirci fratelli e l’impegno missionario di testimonianza deve comprendere tutti coloro che si trovano in difficoltà come la donna cananea, perché tutti figli di un unico Padre. Aprirsi significa anche mettersi in gioco, ed è quella la parte più difficile, ma l’esempio di Gesù ci fa comprendere che nessuno deve sentirsi “arrivato” nella fede e nella crescita personale, e che il modo migliore per essere cristiani è considerarci tutti fratelli. Altro elemento di riflessione è sulla fede, che dobbiamo avere il coraggio di professarla apertamente e di non stancarci mai nel farlo. Focalizzandoci sulla donna cananea, notiamo come lei continua ad insistere nel chiamare Gesù anche quando nota che Lui non le presta ascolto. Lo stesso, quando Gesù considera il gruppo dei cananei come “cagnolini”, quindi come inferiori rispetto ad Israele, la donna dimostra una tenacia d’animo dovuta proprio alla sua grande fede, che Gesù non può fare a meno di notare. Ciò che salva la figlia della donna cananea è la fede di quest’ultima, l’insistenza nel chiedere pietà, il manifestare pubblicamente il suo credo. È proprio ciò che manca a noi quando spesso preferiamo non manifestare la nostra fede più di tanto, sia nelle relazioni con i fratelli, sia nella relazione con Dio. Abbiamo quella antica ma sempre nuova tendenza a invocare Dio solo quando gli avvenimenti della nostra vita sono positivi. La donna cananea ci è da esempio per non avere paura, il grido del povero Dio lo ascolta sempre e lo esaudisce. Universalità e coraggio sono le due parole chiave di questa domenica. Apriamo il cuore a Dio e agli altri, per professare meglio la nostra fede e per avere il coraggio di affrontare le prove della vita affidandoci al Padre.
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