Testi della Liturgia della Parola
Gn 2, 7-9; 3, 1-7
Sal 50
Rm 5, 12-19
Mt 4, 1-11
Gesù, secondo il racconto di Matteo, dopo aver ricevuto il battesimo dal Battista, è spinto nel deserto proprio dallo Spirito Santo; è un luogo privilegiato per Gesù, qui trova il suo spazio di preghiera, di digiuno e raccoglimento. Spesso i vangeli sottolineano il ritirarsi di Gesù come una necessità, soprattutto dopo aver passato diverso tempo con la gente. E’ evidente che l’azione dello Spirito guida la sua vita e non l’abbandona. Questa certezza vale pure per ciascuno di noi: lo Spirito Santo non ci abbandona mai, anzi Egli opera in noi quanto più lo invochiamo.
Il tentatore si fa vicino a Gesù non per prendersi cura di lui, come Egli invece ha fatto con la sua gente, ma per tentarlo proprio nella sua relazione col Padre. Quella voce – «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (cfr. Mt 3,17) – è garanzia d’amore di una stretta relazione fra Padre e Figlio che si fa realtà nei gesti e nelle parole di Gesù fino alla sua resurrezione. E’ proprio questa relazione che il tentatore vuole minare e a quella Gesù rimanda in ogni sua risposta. Di questa relazione tre gemme fondamentali: la Parola del Padre, la fiducia in Lui, il dono della figliolanza.
La Parola di Dio è quel “fiore di frumento” e quel “miele dalla roccia” di cui ci parla il salmo 80: ha un alto valore nutrizionale. Forse non potrà sfamare il corpo ma nutrirà il cuore, edificherà tutto l’uomo. I popoli della terra gridano forte oggi al cielo la loro fame; non parlo dei poveri che pure cercano di rimediare ad una fame evidentemente importante, ma di quanti cercano di riempire le fami della vita famigliare, personale con pane trovato a poco prezzo e preso dalle mani di chi i propri vuoti non li conosce neppure. E’ la Parola l’unica a poter riempirci la fame del cuore, poiché esce dalla bocca di Dio.
La fiducia; Gesù non ha bisogno di mettere alla prova Dio per verificarne la fedeltà. Sa che la sua vita è già nelle mani del Padre e non occorre alcun salto nel buio. Certo dell’amore del Padre rinuncerà alla sua stessa vita perché si possa adempire la Sua volontà. La sua fede nel Padre è più grande di ogni nostro atto di affidamento. La nostra fede spesso carica di dubbi e di paure per il domani è sorretta da Gesù che ci ricorda che non abbiamo bisogno di alcuna prova, perché Egli ha cura di noi.
Essere Figlio di Dio è l’elemento più prezioso della carta d’identità del Nazareno. Di questa figliolanza anche noi siamo fatti partecipi grazie al Battesimo. E’ un dono da custodire e da tenere sempre fisso nel cuore; non è possibile svenderlo o barattarlo con qualche altro regalo. Il diavolo cerca di sostituirlo con tutti i regni del mondo pur di vedersi adorato ma mai Gesù avrebbe rinunciato all’essere Figlio di Dio. Essere suoi figli vale forse più di tutti i regni di questo mondo? Il Vangelo ci dice di Sì, vale più di ogni altra cosa perché essere figli di Dio significa essere amati da un Padre che sempre riesce a vedere il bene nei suoi figli soprattutto quando nessuno al mondo dice bene di noi.
Testi della Liturgia della Parola
Gn 2, 7-9; 3, 1-7
Sal 50
Rm 5, 12-19
Mt 4, 1-11
Gesù, secondo il racconto di Matteo, dopo aver ricevuto il battesimo dal Battista, è spinto nel deserto proprio dallo Spirito Santo; è un luogo privilegiato per Gesù, qui trova il suo spazio di preghiera, di digiuno e raccoglimento. Spesso i vangeli sottolineano il ritirarsi di Gesù come una necessità, soprattutto dopo aver passato diverso tempo con la gente. E’ evidente che l’azione dello Spirito guida la sua vita e non l’abbandona. Questa certezza vale pure per ciascuno di noi: lo Spirito Santo non ci abbandona mai, anzi Egli opera in noi quanto più lo invochiamo.
Il tentatore si fa vicino a Gesù non per prendersi cura di lui, come Egli invece ha fatto con la sua gente, ma per tentarlo proprio nella sua relazione col Padre. Quella voce – «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento» (cfr. Mt 3,17) – è garanzia d’amore di una stretta relazione fra Padre e Figlio che si fa realtà nei gesti e nelle parole di Gesù fino alla sua resurrezione. E’ proprio questa relazione che il tentatore vuole minare e a quella Gesù rimanda in ogni sua risposta. Di questa relazione tre gemme fondamentali: la Parola del Padre, la fiducia in Lui, il dono della figliolanza.
La Parola di Dio è quel “fiore di frumento” e quel “miele dalla roccia” di cui ci parla il salmo 80: ha un alto valore nutrizionale. Forse non potrà sfamare il corpo ma nutrirà il cuore, edificherà tutto l’uomo. I popoli della terra gridano forte oggi al cielo la loro fame; non parlo dei poveri che pure cercano di rimediare ad una fame evidentemente importante, ma di quanti cercano di riempire le fami della vita famigliare, personale con pane trovato a poco prezzo e preso dalle mani di chi i propri vuoti non li conosce neppure. E’ la Parola l’unica a poter riempirci la fame del cuore, poiché esce dalla bocca di Dio.
La fiducia; Gesù non ha bisogno di mettere alla prova Dio per verificarne la fedeltà. Sa che la sua vita è già nelle mani del Padre e non occorre alcun salto nel buio. Certo dell’amore del Padre rinuncerà alla sua stessa vita perché si possa adempire la Sua volontà. La sua fede nel Padre è più grande di ogni nostro atto di affidamento. La nostra fede spesso carica di dubbi e di paure per il domani è sorretta da Gesù che ci ricorda che non abbiamo bisogno di alcuna prova, perché Egli ha cura di noi.
Essere Figlio di Dio è l’elemento più prezioso della carta d’identità del Nazareno. Di questa figliolanza anche noi siamo fatti partecipi grazie al Battesimo. E’ un dono da custodire e da tenere sempre fisso nel cuore; non è possibile svenderlo o barattarlo con qualche altro regalo. Il diavolo cerca di sostituirlo con tutti i regni del mondo pur di vedersi adorato ma mai Gesù avrebbe rinunciato all’essere Figlio di Dio. Essere suoi figli vale forse più di tutti i regni di questo mondo? Il Vangelo ci dice di Sì, vale più di ogni altra cosa perché essere figli di Dio significa essere amati da un Padre che sempre riesce a vedere il bene nei suoi figli soprattutto quando nessuno al mondo dice bene di noi.
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