Riecheggia tuttora nel nostro intimo l’Exsultet che durante la Veglia Pasquale ha cadenzato l’annuncio di una nuova creazione; godiamo ancora della nitida luce che è albeggiata nelle tenebre della morte e ha dischiuso nuove aurore di vita. Sì, il Crocifisso risorto è principio di vita nuova per ciascuno, nuovo slancio nella tiepida monotonia dei giorni, nuova fonte che riversa grazia su grazia. Cristo distende spazi di novità gravidi di vita ed è proprio su qualcosa di nuovo che la liturgia ci invita a porre lo sguardo in questa V domenica di Pasqua.
Nel brano evangelico risuonano queste parole: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). Vi è, dunque, qualcosa di nuovo che ci viene offerto, una realtà inedita che si presenta meravigliosa, tutta da gustare. Di per sé la novità è già motivo di speranza, di trepidazione, di fiducia, perciò appare come una strada spianata verso la felicità; ma il nuovo presentato nel brano di questa domenica ha un quid in più. Certamente la novità non risiede nella prima parte del comandamento, che è già presente nell’Antico Testamento (Cf. Lv 19,18); l’inedito che invece risplende davanti ai nostri occhi è quel “Come io ho amato voi”. Qui dimora una realtà sorprendente, mai vista prima: Gesù stesso, “bellezza tanto antica e tanto nuova”, che ha rivelato pienamente cosa sia l’amore.
“Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici” (Gv 15, 13). È il Figlio che dà la vita; è il Figlio che si china e compie un gesto allora riservato allo schiavo, ma allo stesso tempo assolutamente materno: lavare i piedi. Il Figlio è venuto “per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10, 45) ed è Egli che incarnandosi rivela completamente ciò che da sempre Dio è: Amore. Noi non possiamo che godere di questo amore che si fa vicino, ci serve, ci lava i piedi, ci libera e, così, ci ama “fino alla fine” (Gv 13,1). Si tratta di una ricchezza affascinante e deliziosa che si propone continuamente a noi. Nella proposta di questo amore abita la possibilità di far scorrere nei nostri giorni nuova linfa, cioè di rinnovare e trasformare la nostra esistenza.
L’amore di Dio, che Gesù pienamente rivela, non è soltanto un esempio, ma piuttosto la sorgente dalla quale scaturisce il nostro. “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo” (1Gv 4,19). Quando facciamo esperienza dell’amore gentile di Dio è esso stesso a renderci suoi liberi amplificatori nelle nostre faccende quotidiane, piccoli ruscelli capaci di far fluire agàpe nelle piaghe della storia, proprio perché alimentati da una sorgente inesauribile, desiderosa di dissetare la sete di amore dell’uomo.
Incontrando, partecipando e rimanendo in questo sublime amore, ci scopriamo figli amati dal Padre e resi capaci di amare i nostri fratelli, così come siamo amati da Lui. Tutto ciò genera stupore. Non a caso è proprio la circolarità d’amore nelle nostre vite la traccia che fa risalire a Cristo: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Ci basta rendere carne, ancora una volta, l’amore di Dio in mezzo a noi per aprire ad altri la porta della fede. È bellissimo pensare che qualcuno, guardandoci, possa ripetere ciò che i pagani – osservando stupiti le prime comunità cristiane – affermavano: “Guardate come si amano tra loro!” (Tertulliano).
Filippo Macchia, III anno
Commento al Vangelo della IV Domenica di Pasqua
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