In questo brano del Vangelo di Giovanni, Gesù parla con un’intimità profonda del suo rapporto con i discepoli: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. In queste parole, mi colpisce come la fede non nasca da una teoria o da una dottrina astratta ma da un’esperienza viva e personale. Gesù, infatti, non dice: “Le mie pecore conoscono la mia dottrina”, ma “ascoltano la mia voce”.
La voce di Gesù è come una bussola: solo entrando nella Sua Parola possiamo davvero seguirlo e stare al sicuro con lui. Il buon Pastore infatti continua il suo discorso dicendo “nessuno le strapperà dalla mia mano”.
Il brano si chiude con una rivelazione potente: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Per me questo versetto è come un richiamo continuo all’unità con Dio. Solo se restiamo uniti a Cristo, come Lui è nel Padre, possiamo davvero portare frutto. Non è questione di fare tante cose, ma di lasciarsi custodire.
Questo Vangelo ci ricorda che la chiamata non è anzitutto un compito da svolgere, ma è l’appello di Gesù che chiama e custodisce. Quando il Messia dice “io le conosco”, dice che ci conosce nelle nostre forze e nelle nostre fragilità. Questo invito incondizionato dà forza al nostro “sì”: non è la nostra perfezione, ma il suo amore a sorreggere il nostro cammino. Il suo “conoscere” infatti non è un sapere teorico ma amore e desiderio di relazione profonda. Lui ha scelto noi, con i nostri slanci e le nostre incertezze, perché Dio non sceglie chi è già forte.
“Esse mi seguono”: è l’affidamento del cuore a lui che ci spinge a camminare con Lui, sebbene talvolta la sequela è anche fatica e attesa. La vocazione cresce nella fiducia e si rafforza solo nell’intimità con Lui perché, solo nella certezza che nessuno potrà strapparci dalla sua mano, possiamo continuare a camminare con coraggio verso il dono di noi stessi. Questa promessa sostiene nei momenti di dubbio o fatica: siamo nelle mani del Buon Pastore e ciò dona una pace profonda. La nostra vocazione non è un progetto solitario, ma una risposta d’amore a Chi ci ha amati e che non ci lascia mai soli. Nella nostra debolezza e nel timore di cadere è la vera forza della vocazione. Lui tiene noi e questo ci rende consapevoli che la nostra vita è custodita ed è stabile.
Queste parole, dunque, ci mostrano come la vocazione non sia tanto un “fare per Dio”, ma un lasciarsi trasformare fino a diventare sua voce e sua presenza. Per questo la vera felicità sta nel consegnarsi a Lui, Pastore Buono.
In questo brano del Vangelo di Giovanni, Gesù parla con un’intimità profonda del suo rapporto con i discepoli: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono”. In queste parole, mi colpisce come la fede non nasca da una teoria o da una dottrina astratta ma da un’esperienza viva e personale. Gesù, infatti, non dice: “Le mie pecore conoscono la mia dottrina”, ma “ascoltano la mia voce”.
La voce di Gesù è come una bussola: solo entrando nella Sua Parola possiamo davvero seguirlo e stare al sicuro con lui. Il buon Pastore infatti continua il suo discorso dicendo “nessuno le strapperà dalla mia mano”.
Il brano si chiude con una rivelazione potente: “Io e il Padre siamo una cosa sola”. Per me questo versetto è come un richiamo continuo all’unità con Dio. Solo se restiamo uniti a Cristo, come Lui è nel Padre, possiamo davvero portare frutto. Non è questione di fare tante cose, ma di lasciarsi custodire.
Questo Vangelo ci ricorda che la chiamata non è anzitutto un compito da svolgere, ma è l’appello di Gesù che chiama e custodisce. Quando il Messia dice “io le conosco”, dice che ci conosce nelle nostre forze e nelle nostre fragilità. Questo invito incondizionato dà forza al nostro “sì”: non è la nostra perfezione, ma il suo amore a sorreggere il nostro cammino. Il suo “conoscere” infatti non è un sapere teorico ma amore e desiderio di relazione profonda. Lui ha scelto noi, con i nostri slanci e le nostre incertezze, perché Dio non sceglie chi è già forte.
“Esse mi seguono”: è l’affidamento del cuore a lui che ci spinge a camminare con Lui, sebbene talvolta la sequela è anche fatica e attesa. La vocazione cresce nella fiducia e si rafforza solo nell’intimità con Lui perché, solo nella certezza che nessuno potrà strapparci dalla sua mano, possiamo continuare a camminare con coraggio verso il dono di noi stessi. Questa promessa sostiene nei momenti di dubbio o fatica: siamo nelle mani del Buon Pastore e ciò dona una pace profonda. La nostra vocazione non è un progetto solitario, ma una risposta d’amore a Chi ci ha amati e che non ci lascia mai soli. Nella nostra debolezza e nel timore di cadere è la vera forza della vocazione. Lui tiene noi e questo ci rende consapevoli che la nostra vita è custodita ed è stabile.
Queste parole, dunque, ci mostrano come la vocazione non sia tanto un “fare per Dio”, ma un lasciarsi trasformare fino a diventare sua voce e sua presenza. Per questo la vera felicità sta nel consegnarsi a Lui, Pastore Buono.
Giuseppe Panaro, III anno
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